Mobilità sociale: in Italia se nasci povero rimani povero

"Anche la miseria è un'eredità", scriveva lo scrittore Riccardo Bacchelli, nel suo romanzo "Il diavolo a Pontelungo". È davvero così in Italia? L'Italia è un paese in cui l'eredità familiare gioca un ruolo particolarmente importante. La famiglia rappresenta le fondamenta attraverso le quali molti giovani si avviano verso le loro carriere, a discapito di altri meno fortunati che non possiedono una salda situazione economica.

Le cose vanno più o meno in questo modo: il nonno ha avviato uno studio legale, l’ha lasciato al padre che ha svolto gli studi giuridici e che a sua volta lascerà al figlio, laureato in Giurisprudenza e a 26 anni è già avvocato iscritto all’Ordine. Ci sono eccezioni, sicuramente, ma l’Italia è tuttora un paese fatto di “figli di“. Spesso, questa è una delle cause della staticità della mobilità sociale,motivo per cui i figli dei poveri sono poveri e i figli dei ricchi sono ricchi. È molto complicato che un giovane possa, senza una famiglia con una situazione economica stabile, occupare una posizione di successo. Il quadro d’insieme ricavabile dai dati Istat evidenzia il blocco, che dura da tempo, del cosiddetto “ascensore sociale“. La famiglia, in termini di beni economici ma anche di titoli di studio e attività dei genitori, è determinante per avere successo nello studio e nel lavoro. Solo il 18,5% di chi parte dal basso si laurea e il 14,8% ha un lavoro qualificato. La cerchia di parenti è decisiva nel trovare un impiego: grazie a questo canale informale, lavora il 47,3% (50,6% al Sud) contro il 52,7% che l’ha ottenuto tramite annunci, datori di lavoro agenzie, concorsi. L’ascensore sociale che è il processo che consente e agevola il cambiamento di stato sociale e l’integrazione tra i diversi strati che formano la società, pare che si sia davvero fermato.

L’Istituto Demopolis, stando alle sue ricerche, ha stabilito che due giovani italiani su tre ritengono che chi oggi studia o inizia a lavorare occuperà in futuro una posizione sociale ed economica peggiore rispetto alla precedente generazione. L’80% dei giovani italiani pensa che nel nostro Paese sia accentuata la disuguaglianza intergenerazionale e sociale. Sono diversi gli ambiti nei quali gli under 35 di oggi si ritengono penalizzati: il 78% indica, al primo posto, la precarietà del lavoro e il 75% l’incertezza sul futuro, la convinzione di non poter contare in prospettiva sulle stesse certezze delle quali ha goduto la generazione dei propri genitori. 7 su 10 segnalano la retribuzione bassa o inadeguata, i due terzi manifestano fondate preoccupazioni per il loro futuro e il 63% identifica nella difficoltà di accesso al mercato del lavoro una ulteriore ragione di penalizzazione rispetto alla precedente generazione.

Importanti carenze ci sono anche nel modo dell’orientamento lavorativo: il 40% dei giovani italiani, intervistati da Demopolis, ammette di non possedere le informazioni sul mondo del lavoro, necessarie per le proprie scelte professionali o lavorative. È poco più di un terzo sostiene di avere avuto, nel suo percorso formativo, indicazioni adeguate per una scelta consapevole tra percorsi di studio e di lavoro.

Emerge un’Italia nella quale molti non possiedono la strada spianata e allora l’alternativa resta fuggire oppure, nostro malgrado, ci si umilia a lavorare gratis pur di rimanere nel giro. A tal proposito, ogni giorno, ci si chiede dove sia la meritocrazia che, a quanto pare, resta un’utopia.