No a disabili, stranieri e poveri. Per alcune scuole è questione di appeal

scuola chiusa

E’ stato un articolo apparso ieri su Repubblica a sollevare il caso di alcuni istituti scolastici italiani che sul portale “Scuola in chiaro” hanno usato il criterio dell’assenza di disabili, di stranieri e di studenti provenienti da situazioni di disagio economico come punto di forza per attrarre nuovi studenti e “fare colpo” sulle famiglie.

Immediata la replica del Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, che ha sottolineato come tali giudizi da parte delle scuole siano chiaramente discriminatori nei confronti di una fetta di popolazione e, oltre che privi di qualsiasi buonsenso, anche palesemente incostituzionali.

La scuola del resto è uno dei capisaldi nella costruzione del sé e dovrebbe essere, pertanto, luogo di inclusione, di dialogo e di crescita personale oltre che culturale per gli studenti. Come può una scuola che non iclude insegnare agli studenti i principi dell’uguaglianza e della non discriminazione del diverso?

La notizia arriva anche a pochi giorni dalla polemica scoppiata proprio in Molise rispetto alla presunta richiesta, poi da più parti ridimensionata, da parte di alcuni genitori di Larino di formare classi senza la presenza di alunni disabili o migranti. C’è davvero tutto questo bisogno di escludere per avere figli e studenti modello?

Forse è il caso che ci si fermi un attimo a pensare e a ripensare al fatto che nella società non c’è un solo soggetto destinato in via esclusiva a formare le nuove generazioni. Non è solo la scuola o solo la famiglia o solo il gruppo dei pari o solo i media a avere questo arduo compito. Tutti questi attori devono lavorare in maniera congiunta per lo stesso obiettivo: formare delle persone che sappiano accogliere, riconoscere nell’altro un essere diverso ma uguale e saper cogliere nel confronto con ciò che è altro da sé l’occasione per crescere e maturare.

Una scuola che non è capace di insegnare questo ha fallito senza dover nemmeno mettere voti sulla pagella.