Il razzismo in Italia e la responsabilità dei mezzi di informazione

Il linguaggio della politica condiziona i nostri sentimenti, le nostre visioni del mondo, le nostre azioni quotidiane. Un linguaggio che si sovrappone spesso a quello dei giornali e della televisione, che modifica la nostra percezione della realtà. Negli ultimi sei anni abbiamo assistito ad una trasformazione del clima del Paese, e la propaganda mediatica ha avuto un ruolo importante nel creare un clima di incertezza. Con l’ultimo Rapporto della Carta di Roma “Notizie di Chiusura”, presentato alla Camera dei Deputati l’11 dicembre, l’Osservatorio di Pavia ha confermato la centralità del fenomeno migratorio nella comunicazione mediatica: maggiore nella tv e minore nella carta stampata.

Sulle prime pagine dei principali quotidiani nazionali, si legge nel documento, abbiamo riscontrato una riduzione di notizie sul tema rispetto agli anni precedenti: nel 2018 sono 834, contro le 1.006 del medesimo periodo nel 2017. Invece nei telegiornali di prima serata delle reti Rai, Mediaset e La7, è aumentato il numero di notizie: 4058 nei primi dieci mesi del 2018, il 10% in più rispetto all’anno precedente. Secondo Valerio Castaldi, presidente dell‘Associazione Carta di Roma: “Pacchia, crociera, clandestino, la paghetta dei 35 euro, invasione, sono le parole con cui la politica fa la sua propaganda, ma che rimbalza su tutti i giornali su tutti i telegiornali senza contraddittorio. Abbiamo assistito a trasmissioni televisive in cui politici parlavano di miliardi di africani pronti a partire, quando neanche esistono miliardi di africani. Tutto questo avveniva in studi televisivi nei quali a quelle parole, a quei numeri così distanti dalla realtà non veniva posto un argine, non veniva chiesto un chiarimento”.

L’informazione ha contribuito a creare un clima di diffidenza nei confronti dell’altro. E lo ha fatto inseguendo le parole della politica. In poco tempo il lessico del dibattito pubblico è mutato: il termine immigrato, in particolare,  è stato sostituito con quello di migrante, vale a dire un soggetto in continuo movimento, in continuo divenire. E ciò che può cambiare accentua il nostro senso di precarietà, e ci induce a chiedere sicurezza. L’immigrato è diventato un pericolo, una minaccia, un nemico. I titoli e gli articoli non hanno fatto altro che riproporre le percezioni distorte della realtà del lettore o del telespettatore, enfatizzando il binomio immigrazione-criminalità. E il linguaggio concitato e sensazionalista ha agito sugli istinti delle persone e non sulla parte cognitiva. I toni gravi, polemici e ansiogeni hanno amplificato le paure.

 Così la presenza di richiedenti asilo e rifugiati nei notiziari nel 2018 è aumentata,  ma ciò è avvenuto perché  gli immigrati sono spesso vittime di aggressioni razziali o di sfruttamento e caporalato. Non si avverte il bisogno di  chiarire, invece,  le ragioni che spingono le persone a fuggire dalle loro terre di origine, non si prende in considerazione il fatto  che il numero degli arrivi dalla seconda metà del 2107 al 2018 è diminuito.

L’informazione non è stata pertanto in grado di contrastare  o diminuire il linguaggio dell’odio. Soprattutto nei social media, dove la comunicazione è immediata, e tutti si sentono liberi di esternare rabbia, rancori e meschinità. “Ce ne eravamo accorti nei primi due mesi dell’anno, ovvero durante la campagna elettorale che ha preceduto il voto del 4 marzo, quando, con un metodo molto poco scientifico, avevamo contato la parola “negro” sui giornali ben 57 volte, quasi una volta al giorno, scritta all’interno di articoli che citano frasi tipo: ‘sporco negro’, ‘negro di m…’, ‘i negri vengono a rubare, ad ammazzare le nostre donne…’, ‘Io da un negro non mi faccio visitare…’, ‘stai zitto negro…'”, ha spiegato Valerio Castaldi. Le parole di solidarietà pronunciate dai rappresentanti dei governi europei dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 non sono bastate per garantire la coesione sociale. L’accoglienza infatti in quattro anni ha subito un calo progressivo significativo, passando dal 54 per cento di notizie nel 2015 al 17 per cento nel 2018. Le storie dei territori, sia quelle positive di efficienza e collaborazione tra le istituzioni coinvolte, sia quelle più complesse e conflittuali, fanno progressivamente sempre meno notizia.

Ciò che è rimasto costante negli ultimi sei anni, secondo l’indagine, è l’emergenza permanente veicolata  dai media. La sensazione di «crisi infinita» che attraversa l’Europa. Una crisi che secondo l’opinione pubblica sembra essere stata favorita proprio dall’immigrazione. Come ha scritto il politologo Ilvio Diamanti: “Nel dibattito politico e mediatico il tema dell’immigrazione e la figura del migrante sono associati alle divisioni politiche. Non tanto sinistra/destra. Oggi la politica è personalizzata. Così il tema del migrante è affiancato al Capo del nostro tempo. Matteo Salvini. Il quale ne ha fatto largo uso, nell’ultimo anno. Mentre, dall’altra parte, sul piano della comunicazione e del messaggio, non c’è tanto un soggetto politico. C’è la Chiesa, insieme a Papa Francesco. Visto che la testata che accompagna i migranti con maggiore comprensione è l’Avvenire. Il quotidiano dei vescovi. Della Cei. I “migranti”, dunque, sono al centro di uno confronto, o meglio, uno scontro, politico. E di valori. Che spinge sulla leva delle emozioni”. A chi lavora nel settore dell’informazione spetta ora il compito di raccontare la realtà in modo chiaro, lontano dalla propaganda politica e dall’odio, richiamandosi ai dettati presenti nella Carta dei doveri del Giornalista, rispettando la persona e la sua dignità.