L’Indonesia brucia, multinazionali sotto accusa

Forest fire and clouds of dark smoke in pine stands. Whole area covered by flame

Non succede solo in Amazzonia. Quando parliamo di  disastri ambientali dovremmo prestare una particolare attenzione anche a ciò che sta avvenendo in Indonesia. Gli incendi del 2019, durati tutta l’estate e poi fino allo scorso ottobre, hanno messo in pericolo la salute di circa 10 milioni di bambini. E in più di 900.000 persone sono state riscontrate infezioni respiratorie acute. Tra il primo gennaio e il 22 ottobre 2019, i roghi  hanno distrutto le foreste e le torbiere del sud-est asiatico, rilasciando circa 465 milioni di tonnellate di anidride carbonica, la stessa quantità di emissioni totali annue di gas a effetto serra prodotte dal Regno Unito. Ma chi sono i responsabili? Le fonti ufficiali attribuiscono questi danni a fattori umani.

Secondo il rapporto di Greenpeace dal titolo “Burning down the house“, note multinazionali del settore alimentare  continuano ad acquistare olio di palma da produttori responsabili degli incendi che devastano l’Indonesia, Singapore, la Malysia, le Filippine. Le fiamme vengono appiccati per espandere le piantagioni, e due terzi di questi produttori sono membri della Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile (RSPO), un ente che dovrebbe certificare olio di palma prodotto in modo sostenibile, ovvero senza distruggere le foreste. Un vero e proprio paradosso che conferma la forte ingerenza delle imprese straniere nell’economia di quei territori. E così Unilever, Mondelēz, Nestlé, Procter&Gamble, Wilmar, Cargill, Musim Mas e Golden-Agri Resource contribuiscono alla  distruzione di  foreste, come quella di Sumatra, per fare posto a piantagioni di olio di palma o di acacia per la produzione della polpa per la carta.

Unilever, ad esempio, si è rifornita da produttori ritenuti responsabili della distruzione di un’area di 180 mila ettari tra il 2015 e il 2018, e alcuni sono sotto indagine anche a seguito degli incendi di quest’anno. Anche Wilmar, il più grande operatore al mondo di olio di palma, si è rifornito da produttori responsabili di aver bruciato un’area di 140 mila ettari tra il 2015 e il 2018 e di aver provocato circa ottomila focolai nel 2019.

“Negli ultimi dieci anni, multinazionali e operatori di materie prime si sono impegnati a porre fine alla deforestazione entro il 2020. Ma dal 2010 la produzione e il consumo di prodotti agricoli legati alla deforestazione – tra cui l’olio di palma, utilizzato sempre più anche per la produzione di biodiesel – sono aumentati vertiginosamente e continuano ad aumentare. La sostenibilità sembra solo una parola di facciata – ha  affermato Martina Borghi, Campagna Foreste di Greenpeace Italia – I grandi commercianti di materie prime agricole e le multinazionali che le acquistano devono agire immediatamente per ripulire le proprie filiere dalla deforestazione, senza nascondersi dietro false etichette di sostenibilità. Anche i governi nazionali e l’Unione europea giocano un ruolo fondamentale: è indispensabile una normativa che garantisca che il cibo che mangiamo e i prodotti che utilizziamo non vengano prodotti a scapito dei diritti umani e delle foreste del Pianeta”.