Lavorare con il sociale significa raccontare storie di vita forti, spesso tristi, anzi molto tristi, ma anche ricche di emozioni che possono assumere colori diversi. Come quella raccontata dalla dottoressa Piera Giuliano, psicologa e psicoterapeuta che opera all’interno del progetto Child Care, un servizio di supporto ai minori vittime di abusi e maltrattamenti realizzato da un ampio partenariato in Molise, grazie ai fondi dell’impresa sociale Con i Bambini messi a disposizione tramite bando.
E’ una storia dalle tinte scure, si diceva. Ma è una delle vicende in cui, come per l’effetto di una scolorina fatta di lavoro e di attenzione al disagio, queste tinte si sono schiarite fino a diventare colore pastello. Parliamo di quanto accaduto a Serena e Letizia, nomi di assoluta e propiziatoria fantasia, allontanate dalla loro famiglia per una serie di difficoltà che nuocevano alla loro stabilità fisica e mentale.
“Avevamo davanti un caso complesso – ci spiega la dottoressa Giuliano che la realtà di molti minori la conosce attraverso i numerosi progetti realizzati sul territorio anche nelle scuole – Come sempre nelle famiglie che arrivano ai servizi come il nostro non c’è una sola causa di disagio. Non sempre è facile trovare il bandolo di una matassa che comunque porta ad un’unica affermazione: c’è un gruppo di persone che sta soffrendo e che ha bisogno di aiuto. Nel caso di Letizia e Serena non c’erano alla base motivazioni o patologie gravissime, ma comunque si trattava di una situazione complessa e molto problematica“.
L’aiuto che possono fornire servizi come Child Care, di cui capofila è la cooperativa sociale Sirio che si trova a Campobasso dove ha sede il centro clinico, è fatto innanzitutto di ascolto. “Un minore allontanato dalla famiglia porta con sé principalmente due profonde sofferenze – aggiunge la terapeuta – derivanti una da quanto accaduto e l’altra dalla separazione dal nucleo familiare. E va capito ed accompagnato in un percorso di vita difficile che lui deve per forza affrontare e in qualche modo superare. Nel caso delle due nostre ragazzine, di 8 e 10 anni, gli interventi sono andati su tutti i fronti possibili, dalla scuola alle necessità sanitarie, dall’azione sulla famiglia d’origine all’accompagnamento presso la casa famiglia che le ha accolte per due anni. Abbiamo portato avanti progetti personalizzati di psicoterapia individuale e familiare, lavorando sulle fragilità da rafforzare con l’obiettivo di recuperare quanto più possibile in termini di stabilità ed equilibrio nelle piccole e nelle persone che le circondavano“.
Questa storia, come non sempre accade, ha avuto un lieto fine. Le bambine, grazie all’azione operata dal servizio, sono rientrate in famiglia in condizioni migliori e sicuramente più propizie ad una loro crescita serena. Un finale dovuto però ad una sola e vincente strategia: la rete degli specialisti, delle istituzioni, di tutti gli attori utili allo sviluppo delle due bimbe. “Impossibile ottenere risultati senza una rete attiva e coesa – spiega ancora la dottoressa – Occorre lavorare in équipe come tutte le linee guida oggi raccomandano sia per il servizio pubblico, sia per quello privato sociale come il nostro che nasce proprio in supporto al pubblico. Nel centro di Child Care abbiamo esperti di diversa competenza che lavorano costantemente in rete con servizi sociali, tribunale, sanità, scuola e qualsiasi altra realtà faccia parte del mondo dei minori seguiti. La storia di Serena e Letizia ci ha gratificato particolarmente per i risultati ottenuti anche grazie alla collaborazione della loro famiglia d’origine. Purtroppo non è la regola, perché non sempre il nucleo genitoriale si attiva, si lascia guidare come è successo in questo caso. A volte nonostante tutti gli sforzi non si trova dall’altra parte la volontà di cambiare rotta, di lavorare sulle risorse positive che ciascuno di noi possiede“.
Il fattore determinante per uscire da un tunnel buio per una famiglia multiproblematica (così si indicano tecnicamente i nuclei in cui esiste una concomitanza di fattori a determinare disagio interno) è dunque quella che l’esperta definisce con il termine ‘autoattivazione‘. “E’ la presenza di una motivazione che porta gli attori di un caso a muoversi verso l’uscita – conclude Piera Giuliano – Una motivazione che va stimolata e che se emerge consiste nella volontà seria di essere aiutati. E noi siamo lì a farlo, con tutti gli strumenti a disposizione, con pazienza e soprattutto, questo è fondamentale, senza alcun giudizio”.