L’Italia non è un paese per i bambini. Sono tanti, troppi quelli che vivono in povertà assoluta, senza i beni indispensabili per condurre una vita accettabile. E dal 2008 al 2018 il numero dei minori che vive nella miseria è più che triplicato. Oggi sono 1,2 milioni. Solo nel 2018, si legge nel X Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children, ben 453.000 bambini di età inferiore ai 15 anni hanno dovuto beneficiare di pacchi alimentari. La povertà dei minori si riflette anche sulle difficili condizioni abitative in cui molti di loro sono costretti: in un territorio in cui circa 2 milioni di appartamenti rimangono sfitti e inutilizzati, negli anni della crisi il 14% dei minori ha patito condizioni di grave disagio abitativo.
Secondo l’associazione, che ha lanciato la campagna Illumina il futuro, per il contrasto alla povertà educativa, in Italia manca un Piano strategico per l’infanzia e l’adolescenza. Gli investimenti in spesa sociale sono insufficienti, e in questo modo aumentano gli squilibri esistenti nell’accesso ai servizi e alle prestazioni, costringendo le famiglie in difficoltà ad affrontare da sole gli effetti della crisi. Ma la povertà economica ha delle ripercussioni anche sull’educazione e l’istruzione.
Sono centinaia di migliaia i bambini persi alla scuola (i cosiddetti Early school leavers). Nelle ragioni del sud (Calabria, Sicilia, Sardegna) il tasso di dispersione è addirittura del 20%.
“Nell’ultimo decennio insieme alle diseguaglianze intergenerazionali, si sono acuite le diseguaglianze geografiche, sociali, economiche, tra bambini del Sud, del Centro e del Nord, tra bambini delle aree centrali e delle periferie, tra italiani e stranieri, tra figli delle scuole bene e delle classi ghetto. Si sono divaricate le possibilità di accesso al futuro – ha detto Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children – Un paese “vietato ai minori”, che negli ultimi dieci anni ha perso di vista il suo patrimonio più importante: i bambini. Impoveriti, fuori dall’interesse delle politiche pubbliche, costretti a studiare in scuole non sicure e lontani dalle possibilità degli altri coetanei europei. Ma che non si arrendono, che hanno trovato il coraggio di chiedere a gran voce che vengano rispettati i loro diritti, che gli adulti lascino loro un pianeta pulito e un ambiente di vita dove poter crescere ed esprimersi”.
Ed ha aggiunto: “Chiediamo un forte segnale di inversione di rotta, per affrontare quella che è una vera e propria emergenza. Ci auguriamo che il Presidente del Consiglio che nel suo discorso di insediamento ha voluto raccogliere l’appello lanciato da Save the Children per garantire ai bambini e alle bambine l’accesso all’asilo nido, nella prossima legge di bilancio sappia dare seguito concreto a quanto annunciato, a partire dalle aree del paese dove maggiormente si concentra la povertà minorile.”
I governi non investono sulla scuola. Secondo i dati OCSE, l’Italia spende per l’istruzione e l’università circa il 3,6% del Pil, quasi un punto e mezzo in meno rispetto alla media dei paesi OCSE, pari al 5%. E la condizione delle strutture scolastiche rimane ancora un problema non risolto. Le scuole nella gran parte, infatti, sono totalmente impreparate a possibili emergenze. Su un totale di 40.151 edifici censiti dall’anagrafe dell’edilizia scolastica, 7.000 sono classificati come “vetusti”, circa 22.000 sono stati costruiti prima degli anni Settanta e delle norme che hanno introdotto l’obbligo di collaudo statico (sono 15.550 quelle che ne sono prive) e un numero ancora maggiore prima del 1974, anno di entrata in vigore delle norme antisismiche. Sono 21.662 gli istituiti che non hanno un certificato di agibilità e 24.000 quelli senza certificato di prevenzione per gli incendi. Nelle aree ad alta e medio-alta pericolosità sismica, sono ben 13.714 gli edifici scolastici che non sono stati progettati per resistere a un terremoto ed è antisismica appena una scuola su cinque.
Ma in Italia nel corso degli anni è diminuito anche il numero di bambini. I quali hanno genitori più anziani rispetto al passato, perché i giovani fanno fatica a raggiungere l’autonomia necessaria per sostenere un nucleo familiare. E non è un caso che si è registrato un calo di iscrizioni al primo anno delle scuole primarie nel a.s. 2019/2020: circa 23000 bambini in meno rispetto all’anno precederne. Tuttavia un segnale positivo arriva dalla crescita del numero di bambini e ragazzi di origine straniera presenti nel nostro Paese. Sono loro quelli potrebbe compensare questo fenomeno.