Il bullismo non è solo di un fenomeno sociale di grande rilevanza, ma si parla anche di comportamento, comportamento oppressivo, aggressivo, intenzionale, atteggiamento di superiorità, di potere, caratteristico delle relazioni tra coetanei. Giochi di potere molto presenti nel contesto scolastico, comportamenti verbali e fisici, violenti e pervasivi. E parliamo di conseguenze durature verso la persona percepita come il più debole, insicura, con scarsa autostima.
Il bullo è una figura troppo presente nella nostra società. Lo troviamo in classe, fuori della scuola, per strada. E nella maggior parte delle situazioni più difficili il caso finisce tra i contatti dell’assistente sociale. Ecco allora un argomento interessante al centro della chiacchierata con Daniele Acquasana, che fa questo mestiere e che di bulli, per motivi professionali, ne ha già incontrati diversi.
Non è solo in crescita il problema del bullismo tra i giovani, ma il fenomeno sta anche cambiando pelle. E’ quanto leggiamo e sentiamo dire. Questo fenomeno di devianza minorile, nel nostro paese, sta assumendo caratteristiche nuove rispetto al passato: è vero?
Sì, è così. Più precisamente assistiamo ad un incremento nel circuito deviante di minori immigrati, forme di criminalità legate ad azioni di bullismo, forme di delinquenza esercitata da bande giovanili, forme di devianza legate allo sviluppo di psicopatologie in adolescenti abusatori di alcool e droghe.
Lo psicologo svedese Dan Olweus (riconosciuto come pioniere della ricerca sul bullismo) nel corso dell’avanzamento dei suoi studi definì questo fenomeno attraverso questa definizione: uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, ad azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni.
Chi sono quindi, oggi, i protagonisti di questo triste fenomeno? Chi sono i bulli?
Definiamo bulli coloro che mettono in atto le prevaricazioni. Spesso il bullo prende in giro, spaventa, minaccia o se la prende con chi è meno forte di lui. Prevale dentro di sé il desiderio di nuocere, il desiderio si tramuta in azione diretta o non diretta e dunque qualcuno più debole ne soffrirà. Non ci saranno giustificazioni, gli episodi saranno ripetuti in quanto chi lo pratica prova un evidente piacere. Il bullo induce i coetanei a fare ciò che vuole. Solitamente fa leva sul timore che incute nella vittima, la manipola tenendola in una condizione di paura, ricordandole di continuo, attraverso lo sguardo, i gesti, la comunicazione verbale o non-verbale, che cosa potrebbe succederle. Spesso il bullo è considerato forte e autorevole e può essere molto popolare e ammirato dai coetanei.
Il bullo è presente anche nel mondo femminile? E c’è differenza tra bullo maschio e bullo femmina, almeno secondo i dati e la sua esperienza?
Il bullo maschio è in genere più portato alle prepotenze di tipo fisico; la capacità di esprimersi verbalmente è solitamente più limitata e poi sente un bisogno maggiore di dimostrare il proprio ardimento fisico. Solitamente forma grandi gruppi organizzati gerarchicamente che favoriscono un tipo di aggressione diretta.
La versione, diciamo così, femminile del bullo preferisce formare gruppi più piccoli basati su amicizie più strette, gruppi molto importanti soprattutto durante e dopo la pubertà per lo sviluppo psico-sociale. C’è una maggiore inclinazione per la manipolazione, un’aggressività di tipo verbale o indiretto, intesa a condizionare i legami di amicizia. Anche le femmine ricorrono alla violenza fisica, tuttavia sono più portate all’attacco verbale e all’esclusione, che utilizzano come armi per manipolare i rapporti di amicizia tra coetanee.
Chi sono invece le vittime? Quali le loro caratteristiche ricorrenti? Insomma: esiste per il bullismo quello che Weber avrebbe chiamato il tipo ideale di vittima?
Le vittime, ossia coloro che subiscono prevaricazioni, presentano una serie di tratti ricorrenti che hanno permesso di definire, soprattutto tra i più giovani d’età, una sorta di modello. Il bambino più esposto al rischio di subire prepotenze è quello molto sensibile, che si offende facilmente, che lascia chiaramente trapelare il proprio disagio. E’ più portato a essere ansioso, guardingo, remissivo, poco sicuro di sé e silenzioso rispetto ai coetanei. Molto spesso, almeno per un certo periodo, il bambino negherà di avere bisogno d’aiuto, o lo rifiuterà, affermando di potercela fare da solo. Di fronte al prepotente è paralizzato dalla paura. Nega e non reagisce. Il bambino vittima del bullismo in qualche modo sente e crede di essere stato oggetto di un atto offensivo.
Se a scuola il bambino è solitamente triste oppure per la maggior parte del tempo insoddisfatto è quindi importantissimo parlare con lui per scoprire qual è la causa della sua infelicità. E’ anche fondamentale capire se si tratta di timidezza, perché il bambino timido è più soggetto alle prepotenze.
E poi in questo gioco spietato e deviato c’è una terza categoria, oggi forse più presente di un tempo, che fa ancora più paura e ribrezzo: gli spettatori.
Purtroppo è vero: gli spettatori sono quelli che non prendono parte attivamente alle prepotenze, ma vi assistono passivamente. Senza intervenire in soccorso. E oggi sempre più spesso testimoniano la loro presenza proponendo sul web i video delle scene che loro restano inermi a guardare. Uno scenario sempre più preoccupante.
Ma quali sono le motivazioni del bullo? Si tratta sempre, come spesso leggiamo e sentiamo dire, di un bambino o un ragazzino che …ha dei problemi?
No. Non sempre il bullo è un bambino con dei problemi conclamati, riconosciuti a priori. Alcuni godono di una certa popolarità e buona attitudine al comando. Ci sono bambini e ragazzi circondati da amici che sfruttano il sostegno del gruppo, altri che credono che le prepotenze li rendano più benvoluti, specialmente se tali comportamenti sono tollerati dalla scuola. E la tolleranza è data dal fatto che non sempre gli adulti riescono a distinguere l’atto di bullismo dalla bravata. Gli stessi ragazzi che agiscono da bulli a volte sono convinti che si tratti solo di un gioco: negano l’evidenza, cioè che fanno soffrire un’altra persona.
Quello che si può dire è che il bullo trova difficile gestire i propri sentimenti, perciò si concentra su quelli altrui. Con le prepotenze attira su di sé l’attenzione del gruppo dei coetanei a spese della vittima, evitando di mostrare i suoi personali sentimenti. Alcuni bulli non sanno rapportarsi con il prossimo né capiscono le sue sensazioni, alcuni ritengono che l’aggressività li renda importanti, dia loro controllo, potere, senso di appartenenza e prestigio. A molti piace approfittare della loro forza e manipolare gli altri, amano dominare e fare del male. Ma a livello inconscio il bullo si sente spesso frustrato e impotente.
Alcuni studi, quelli più recenti sulla figura del bullo, mostrano che si tratta di bambini le cui tendenze aggressive si manifestano sin dai 2 anni. La cosa più sconcertante di questo fenomeno è che talvolta i cosiddetti prepotenti agiscono solo per noia e non si rendono conto del danno che stanno causando, in quanto lo fanno per semplice divertimento. Quindi come tanti altri fenomeni il bullismo nasce in sordina. Se poi si evolve assume connotati diversi che hanno portato anche a numerose classificazioni.
La classificazione è uno strumento necessario e anche indispensabile per lo studio delle scienze sociali. Immagino ci siano diversi tipi di bullismo: quali sono?
Ci sono numerose tipologie di bullismo, oltre quello generico e scolastico che abbiamo visto sinora. Ci sono i casi di sexual harassement che presentano molestie sessuali, c’è il bullismo di razza rivolto contro particolari etnie, il nonnismo in ambito militare e in contesti fortemente chiusi e gerarchici. Abbiamo il bullismo di gang commesso da gruppi giovanili guidati da un leader, con una ben definita gerarchia interna, che controllano un territorio.
Il bullismo è uno dei fenomeni per i quali l’assistente sociale viene chiamato in causa dalla scuola o dal servizio socio sanitario. Qual è il primo approccio per l’intervento? E in che modo si opera per la gestione del problema?
In questo contesto, con l’aiuto di altri professionisti del settore, l’assistente sociale interviene ponendo innanzitutto la vittima al centro dell’intervento, con l’attenzione specifica al danno subito. Che viene valutato sul piano clinico e soprattutto dal punto di vista psico-sociale relazionale e ambientale. In sintesi (molto riduttiva) si cerca di lavorare con e per la vittima sul riconoscimento della stima personale, per riparare il danno causato dal bullismo e rafforzare la personalità dell’individuo.
La vittima dovrà riuscire a capire perché viene preso di mira. Potrà imparare nuove competenze e acquisire tecniche giuste per respingere i prepotenti. Dovrà pian piano imparare a comunicare senza incertezze, dovrà acquisire sicurezza. E soprattutto creare intorno a sé la rete dei ‘sostenitori’: ogni bambino ha bisogno di avere una rete sociale di veri amici, l’appartenenza riduce i rischi di attacchi.
Sicuramente risulta necessario intervenire anche su bullo. E si fa attraverso un programma di riduzione del comportamento aggressivo attraverso un potenziamento dell’autocontrollo e delle abilità relazionali. Si punterà a riconoscere che cosa provoca l’aggressività e a migliorare le funzioni differenziali individuali.