DSA, la differenza la fanno i grandi. E i bambini pagano le spese

Parliamo di DSA con Michele Tos, che interessato dal problema ne è diventato esperto: "Negarlo significa chiudere al bambino le porte del futuro"

dislessiamichele tos gnosys

Un secondo anno scolastico difficile per tutti è appena terminato. La DAD, alternata a quel poco che si è riusciti a fare in presenza, ha messo a dura prova insegnanti e studenti di ogni età. Ma chi il disagio lo ha sentito ancor di più sono stati tutti quei ragazzi che per difficoltà già presenti e di vario ordine hanno dovuto più degli altri stringere i denti. Parliamo delle persone con una disabilità o con problematiche che già in condizioni regolari richiedono particolari attenzioni.

Tra questi ci sono gli alunni, tanti, che hanno un disturbo dell’apprendimento: I ragazzi con DSA, che di scoraggiamento nella difficoltà dell’apprendere ne sanno parecchio. E che restano, nella modalità di approccio al problema, al centro di un acceso dibattito tra esperti, famiglie, personale scolastico e medico.

Affrontiamo questo delicato tema insieme a Michele Tos che, per necessità prima e per interesse poi, ha studiato scientificamente e socialmente il problema. Tos sull’argomento spende moltissimo tempo perché padre di un ragazzino con il disturbo. Un lavoro intenso che nel tempo lo ha portato a realizzare un’associazione, Progetto Gnosys, che opera nel mondo dell’educazione e del sociale.

Padre di tre figli, esperto nei Processi dell’apprendimento Erickson e progettista di percorsi educativi, ha frequentato corsi di specializzazione in DSA. Vive e lavora a Torino, dove opera fattivamente con realtà associative ed enti scolastici. Presidente di comitati genitori, partecipa alla vita della scuola con progetti sul tema dell’educazione e della prevenzione del disagio scolastico attraverso la promozione dell’inclusività.

Ragazzini che rinunciano a studiare per un DSA, bambini che restano indietro perché il problema non emerge o che vengono derisi perché non stanno al passo e appaiono svogliati. Di DSA, questo è fuori dubbio, bisogna parlare e ancora parlare.

Parlare di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) è argomento talmente dibattuto che talvolta viene banalizzato, altre volte addirittura negato, altre volte posto a giustificazione di ben altri problemi, esterni al soggetto che ne soffre. Eppure la dislessia, la disortografia, la disgrafia, la discalculia sono disturbi di natura neurobiologica reali, che interferiscono con il normale processo di acquisizione della lettura, della scrittura e del calcolo, i quali determinano più o meno significative difficoltà nell’apprendimento scolastico e nella vita quotidiana.

Così spesso i genitori che hanno a che fare col problema si sentono isolati e si mettono in gioco in prima persona attraverso blog, progetti e associazioni. E al centro ci sono bambini DSA. E anche adulti. E’ il caso suo vero?

Molti di noi adulti potrebbero avere un DSA non diagnosticato e semplicisticamente bollato (all’epoca) come scarsa attitudine alla materia. La domanda che dobbiamo porci è: come sarebbe stata la mia vita con una corretta presa in carico del problema? Ho affrontato la problematica mettendomi a studiare il più possibile, per dare una mano a mio figlio, anche perché i progressi scientifici sono relativamente recenti. Insomma, mi reputo una persona, diciamo così, informata sui fatti e che ha contatti con molti esperti.

I DSA non sono dunque un’invenzione, o semplicemente svogliati, come ogni tanto si sente ancora dire. Chiariamo questo una volta per tutte.

Assolutamente no. Vengono scientificamente studiati e sono diagnosticabili (e certificabili secondo direttive regionali e legge 170/2010) da personale specializzato, partendo da un concetto fondamentale, ovvero rientrare in un parametro intellettivo quantomeno normale, precisando che in molti casi il quoziente intellettivo di un soggetto affetto da DSA è superiore alla media.

Quindi capacità intellettive particolari, ma difficoltà nell’apprendere: quasi un paradosso. Come si arriva alla certificazione? Dove nascono allora le difficoltà?

Un DSA viene certificato, ma si tratta dell’esito di un percorso. Si parte dal sospetto, quasi sempre evidenziato dagli insegnanti, a partire dalla seconda/terza elementare, epoca in cui il bambino matura in maniera significativa i processi legati alla letto-scrittura ed al calcolo, tali da consentire (in primis agli insegnanti) di porsi le prime domande di fronte ad alcune evidenze, quali lentezza nella lettura, inversione di lettere (d, p, q, b, vengono confuse nei dislessici), difficoltà nella memorizzazione delle tabelline, difficoltà nella grammatica ed ortografia ed altro ancora.

Questo sospetto viene comunicato ai genitori dagli insegnanti, quando i genitori stessi non ne abbiano sentore; i genitori ne parlano con il pediatra o con il medico, il quale rinvia allo specialista (psicologo, logopedista, foniatra, neuropsichiatra od altro occorrente) che certifica (secondo i dettami legislativamente definiti, in prima battuta l’assenza di deficit intellettivi e/o altre problematiche bio-psico-sociali) la presenza o meno dei disturbi attraverso apposite valutazioni; le strutture sanitarie prendono in carico il bambino per le eventuali azioni di recupero e sostegno; i genitori portano alla scuola la certificazione DSA e la scuola pone in essere le misure compensative-dispensative necessarie. A questo punto il bambino ha tutti gli strumenti necessari atti a garantire il successo scolastico senza sviluppare frustrazioni.

Un percorso complesso che necessita di un approccio di rete, deduco.

Sì. Un percorso che vede come protagonista l’intera comunità educante, costituita da genitori-insegnanti-società, che diviene parte integrante, di natura ambientale e strumentale, nel contribuire a determinare un maggiore o minore disadattamento al disturbo. Certo, lungo questo percorso può accadere di tutto: insegnanti che non hanno la formazione o la sensibilità necessaria per riconoscere l’incidenza del disturbo; genitori che negano la possibilità che il loro bambino possa non essere ‘perfetto’ oppure che non hanno il denaro necessario ad a accedere ai servizi privati ove non esistano pubblici; strutture sanitarie non adeguate o non recepenti; negazionismo trasversale (ancora oggi taluno parla di ‘pigrizia’ di fronte alle difficoltà vissute) che ritardano l’applicazione delle corrette iniziative e creano demotivazione. E’ qui che nascono le difficoltà. Nella mia esperienza personale e professionale ho avuto modo di incontrare molte di queste situazioni ed altre ancora.

C’è ancora un po’ di confusione, non è sempre tutto così lineare. Come se ne esce allora?

Con la conoscenza. Come sempre. Con informazione e sensibilizzazione. Per quanto mi riguarda nel tempo sono giunto a collaborare con specialisti coinvolti nel percorso diagnostico/riabilitativo, avendo strutturato e partecipato a progetti all’interno delle scuole in stretta collaborazione con insegnanti e dirigenti scolastici. Oltre ad aver incontrato tanti genitori e tanti alunni. Queste esperienze mi hanno consentito di maturare due convinzioni: la prima è che siamo noi adulti a fare la differenza, rispetto al vissuto di questi particolari figli; la seconda è che, in ragione della prima, i bambini con DSA possono avere un futuro migliore, senza che questo venga negato a priori.

Combattere dunque lo scoraggiamento. Mi sembra questo il suo messaggio alla comunità educante.

Esatto. Come associazione la invito ad essere fautrice di un futuro sereno per tutti i bambini e per tutti i ragazzi che vivono questa particolare condizione. Un invito a sostenere e non contrastare tutti i genitori e tutti gli insegnanti che con sincero interesse fanno del loro meglio davanti a questo tipo di problematica.