Daniele Acquasana, molisano di Campobasso, assistente sociale dal 2009, ha scritto un libro sulla sua professione: Identità di genere e modello professionale nel lavoro sociale (Passerino ed.). Un mestiere lui ama tantissimo e per cui da sempre ha rivendicato le peculiarità del suo essere uomo e non donna, sesso tradizionalmente legato a questa attività.
Dottor Acquasana, lei è relativamente giovane di età. Che cosa l’ha spinta a scrivere già un libro sulla sua professione?
Innanzitutto gli stereotipi esistenti. Un uomo assistente sociale è qualcosa di assolutamente inedito. La domanda più frequente: perché? La mia risposta: Perché no? Così pian piano mi sono trovato a riflettere sulle mille responsabilità e i mille ruoli di questa attività, sempre in prima fila rispetto alle diverse richieste d’intervento. Dal primo colloquio con l’utenza alle indagini sociali e alla costruzione di progetti. Mi sono dunque chiesto a quale figura e a quale modello si addicesse di più questa professione: al genere maschile o a quello femminile?
Quali concetti ha dovuto mettere in gioco in questo percorso di confronto?
Innanzitutto la questione dell’identità di genere tra maschio e femmina, tra stereotipi e realtà. Uno spaccato di questi due mondi diversi all’interno dei servizi sociali, nelle attività di aiuto alle persone. Poi la riflessione sull’essere uomini implicati in professioni ritenute e per definizione femminili. Da sempre le donne sono state ritenute più capaci di penetrare nell’intimo l’essere umano e più allenate ai lavori di cura. Ma è proprio così? Esiste attualmente una riflessione sulle potenzialità maschili, che fanno da buon integratore nei rapporti interrelazionali specie in un contesto lavorativo sociale. Ho inoltre messo in gioco il concetto di identità sessuale e non meno quello della dimensione valoriale sempre in un confronto di genere.
Qual è l’obiettivo di questa pubblicazione?
In prima analisi c’è la riflessione sul sistema di ruoli e di relazioni tra uomini e donne determinate dal contesto sociale, politico ed economico. Sul processo attraverso il quale individui che nascono maschili o femminili entrano nelle categorie sociali di uomini e donne. E sul passaggio epocale che vede l’immissione massiccia delle donne nel mondo lavoro, con particolare riferimento a quello sociale. E quindi la “rottura” delle simboliche equazioni uomo = ruolo professionale e donna = ruolo materno con il conseguente cambiamento delle regole relazionali.
In secondo luogo c’è l’esigenza di includere l’uomo nella dimensione “cura”, di fargli recuperare una dimensione emotiva-affettiva, stereotipicamente attribuita alla rappresentazione del femminile. Ecco quindi che uomini e donne sono alle prese con una ridefinizione delle posizioni di genere all’interno dei diversi sistemi sociali, della famiglia, al lavoro e alla società.
Pare esserci l’esigenza di cambiare le carte in tavola nel rapporto uomo-donna all’interno di questo delicato mestiere. E’ così?
Secondo me la strategia utile per garantire ai generi le pari opportunità non è ricorrere alla negazione o all’annullamento delle differenze, ma riconoscerle e valorizzarle all’interno di condizioni sociali e culturali che non le penalizzino. Io credo che il valore principale da perseguire in futuro sia la ricerca delle interconnessioni tra i generi, dove ognuno porta le sue peculiarità. Pensando all’uomo e alla donna come esseri sociali e speciali, portatori di un passato e di sfide future.
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