“Profughi che accolgono altri profughi” è il titolo dell’articolo che parla di Ururi, firmato da Alberto Bobbio, pubblicato sulla rivista nazionale Famiglia Cristiana in edicola la settimana prima del 17 gennaio proprio in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Ripercorrendo le origini arbereshe della comunità ururese, Famiglia Cristiana arriva a raccontare l’operato sociale di Don Fernando Manna e della Parrocchia Santa Maria delle Grazie. Per ritrovare le origini arbereshe di Ururi bisogna andare a ritroso fino al XV secolo ai tempi dell’invasione ottomana della penisola balcanica e della resistenza delle popolazioni albanesi cristiane guidate del condottiero Giorgio Castriota Scanderbeg. Dopo il lungo assedio e la morte di Scanderbeg per malaria (non fu mai sconfitto in battaglia) iniziarono le migrazioni albanesi oltre l’Adriatico per raggiungere l’Italia Meridionale. Tra i vari luoghi in cui si stabilirono, un monastero benedettino in una località sulle colline molisane chiamata Aurole. Nasceva così Ururi dal “sangue nostro disperso” (“gjaku jone i shprishur”) e gli ururesi, memori della loro storia, non dimenticano chi oggi soffre per via di altre persecuzioni. La storia di accoglienza di un’intera comunità, raccontata dal parroco don Fernando, va dalle 30 famiglie albanesi ospitate nel 1991 fino a quelle dei rifugiati pakistani, siriani e ora africani alle quali la comunità di Ururi ha aperto le porte in questi ultimi anni. Ururi è uno dei paesi del progetto Sprar per l’accoglienza dei rifugiati in collaborazione con la Caritas della diocesi Termoli–Larino, ma anche la parrocchia ha deciso di destinare a chi cerca rifugio un appartamento avuto in donazione da una grande benefattrice del paese, Teresina De Rosa. Nel solo centro sociale Spirito Santo sono poi ospitate ben 15 donne africane con figli. Tra origini e accoglienza, Ururi sarà sempre più un paese multietnico.