L’assistente sociale che opera nel penale, un’attività complessa ma di forte crescita

Prosegue il dialogo con un assistente sociale che racconta la sua esperienza nella professione

carcere assistente sociale

Continuiamo a fare un giro virtuale attorno ad una professione che negli ultimi anni sta cambiando moltissimo. Che sta aprendo sempre più gli orizzonti. E che rimane, come sempre, cruciale nella rete dei servizi essenziali di supporto alla persona: l’assistente sociale.

E continuiamo a farlo chiacchierando, diciamo così, con Daniele Acquasana, che dopo aver conseguito il titolo con i regolari studi ha cercato di estenderne il più possibile il raggio d’azione. Questo sia per cercare valide opportunità di lavoro, visto che stiamo parlando di un giovane appassionato del suo mestiere, sia per valorizzare il più possibile una professione che lui ama profondamente.

Dottor Acquasana, dopo varie esperienze in cooperative del Molise e in servizi diversi oggi lei lavora nel settore penale. Per la precisione presta servizio all’UEPE (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) di Pescara. Di che ufficio stiamo parlando? Di che cosa si occupa per la precisione?

I compiti di noi professionisti che lavoriamo presso l’UEPE sono riconducibili a tutte le attività legate all’Ordinamento Penitenziario, quindi al servizio e alla cura della persona nell’applicazione delle misure alternative alla detenzione. Parliamo di affidamento in prova al servizio sociale, di detenzione domiciliare, di semilibertà. Con l’introduzione della messa alla prova per adulti (ad opera della Legge 67/2014) ci occupiamo anche di indagini per la concessione della sospensione del procedimento penale, attraverso un programma di trattamento che prevede il lavoro di pubblica utilità come attività obbligatoria, oltre all’attuazione di una condotta ripartiva e mediazione con la vittima.

Di che cosa si tratta in termini pratici?

In termini pratici l’UEPE effettua l’inchiesta sociale, condotta ed elaborata con metodi e tecniche del servizio sociale basati sui dati inerenti la vita di un soggetto in rapporto al suo contesto di appartenenza. Tutto va documentato e deve essere attendibile: dagli aspetti familiari a quelli ambientali, culturali, lavorativi, relazionali e psicologici. Da qui si cerca di capire come percepisce la propria situazione e la condotta antigiuridica la persona sottoposta ad indagine e la sua famiglia, in modo anche da capire e comprendere come indirizzare una prospettiva di cambiamento ed evoluzione. In ambito applicativo si contribuisce alle decisioni della Magistratura di Sorveglianza. Per applicazione, revoca, proroga o modifica  di una misura alternativa. Il nostro ufficio fa da collante, riferisce sulla rete sociale e familiare del soggetto in esame, valuta i suoi rapporti con l’esterno e le eventuali possibilità di interazione con esso.

Quali sono i casi più frequenti da affrontare? E quali le peculiarità del ruolo?

I casi di intervento sono molteplici, legati all’esecuzione penale esterna come ai soggetti ristretti. E la varietà delle situazioni non ci permette di individuarne casi più frequenti per tipologia. In tutti però il compito principale di noi professionisti è favorire un percorso di reinserimento e di recupero del soggetto laddove ci siano da superare delle difficoltà. E laddove tali difficoltà sono considerate superabili, naturalmente. Lavorare in ambito giudiziario, svolgere quest’attività a contenuto specialistico con un’importante assunzione di compiti di gestione giudiziaria è per me una bellissima esperienza professionale e formativa. Di certo è un territorio complesso su cui lavorare  e affrontare tutte le situazioni ma con professionalità e strumenti a disposizione idonei si può fare. Mi auguro vivamente di continuare il più tempo possibile a far parte della famiglia “Ministero di Giustizia”.