Negli ultimi anni abbiamo assistito a un vero e proprio boom della canapa. E’ presente nei biscotti, nei taralli, nel pane. E c’è chi la usa per produrre ricotta, tofu, bevande vegane e birra. Inoltre dalla cannabis si ricavano oli, resine e tessuti naturali validi sia per l’abbigliamento (tengono caldo d’inverno e fresco d’estate) sia per l’arredamento.
Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto numero 11 del 15 gennaio, è stata indicata la quantità massima di tetraidrocannabinolo (THC) negli alimenti. Per i semi di cannabis sativa, la farina ottenuta da semi e gli integratori contenenti alimenti derivati è di 2 milligrammi per chilo, mentre per l’olio ottenuto da semi è di 5 milligrammi per chilo.
“E’ un tipo di coltivazione che si estende da Nord a Sud della penisola, dal Piemonte alla Puglia, dal Veneto alla Basilicata, ma anche in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna – ha spiegato la Coldiretti – Si tratta in realtà di un ritorno per una coltivazione che fino agli anni ’40 era più che familiare in Italia, tanto che il Belpaese con quasi 100mila ettari era il secondo maggior produttore di canapa al mondo (dietro soltanto all’Unione Sovietica). Il declino è arrivato per la progressiva industrializzazione e l’avvento del “boom economico” che ha imposto sul mercato le fibre sintetiche, ma anche dalla campagna internazionale contro gli stupefacenti che ha gettato un ombra su questa pianta”.
Il decreto ha dato delle risposte alle centinaia di aziende agricole che hanno investito nella coltivazione di questo tipo di pianta, con i terreni coltivati in Italia che nel giro di cinque anni sono aumentati di dieci volte dai 400 ettari del 2013 a quasi 4000 nel 2018.
Manca ora un intervento legislativo che sia in grado di regolamentare il settore che coinvolge la commercializzazione dei derivati della cannabis sativa. In linea con la sentenza restrittiva emessa a fine maggio dalle Sezioni Unite della Cassazione sui limiti della legge 242 del 2016.
“Per la coltivazione e vendita di piante, fiori e semi a basso contenuto di principio psicotropo (Thc) si stima – ha concluso la Coldiretti – un giro d’affari potenziale stimato in oltre 40 milioni di euro con un rilevante impatto occupazionale per effetto del coinvolgimento di centinaia di aziende agricole”.