DSA, quando per ignoranza del docente paga il bambino. Un caso molisano

Non è sempre facile riconoscere il disturbo dell’apprendimento, ma trascurarlo è un danno per il bambino e per tutta la sua famiglia. Il caso molisano di Giulia

Dsa, la storia di Giulia

Gli anni delle elementari sono stati massacranti, sin dal magico primo giorno di scuola. La mia Giulia col grembiulino nuovo, la merenda preferita, le prime amicizie nate tra i banchi… Tutto è passato in secondo piano di fronte al macigno che ogni pomeriggio ci toccava sostenere: i compiti. E così è stato per cinque lunghi anni, tra rabbia e dubbi”.

E’ una mamma dell’alto Molise a raccontare il suo difficile approccio con il disturbo dell’apprendimento di sua figlia, oggi brillante giovincella di terza media. “Ma quanta fatica… – ci dice – Quante incomprensioni con il personale docente che per anni mi ha accusata di essere ansiosa, possessiva e protettiva. Io ero la causa dei disturbi di mia figlia…e vai con i sensi di colpa!”.

Giulia era in gamba, una bambina pronta a dare il meglio in creatività con disegni bellissimi; non aveva paura di fare i conti in matematica ed era incuriosita dalle materie, come dalle tante attività che porta avanti anche oggi nel pomeriggio. Ma di leggere proprio non ne voleva sapere. Arrivava il momento e si incupiva, cambiava espressione ed umore. Se poi le chiedevano di leggere ad alta voce men che mai.

Mi hanno consigliato di essere più severa, di punirla più spesso, di darle maggiore autonomia. Il risultato? Il mio senso di colpa aumentava in maniera esponenziale e mia figlia continuava a non voler assolutamente leggere. Si rifiutava in tutti i modi, spesso piangeva e, così facendo, alle soglie della terza primaria non aveva ancora la capacità di leggere una frase in maniera continua. Il peso quotidiano erano i compiti di storia e geografia, era studiare. L’unico modo per farglielo fare era leggere a voce alta al posto suo: io dovevo leggere per lei. Tutti i giorni. Solo così metteva in memoria le nozioni”.

Giulia per richiesta dei genitori è stata anche sottoposta a test psicologici per cercare la presenza di un disturbo psichico, ma tutto era normale. “Ero ormai convinta che ci fosse qualche lieve e nascosta forma autistica: io sono estetista e non conosco la patologia, ma vedevo che qualcosa non andava”. Intanto per la maestra prioritaria Giulia rimaneva semplicemente una bambina svogliata e viziata.

Finalmente, ma siamo incredibilmente in quinta elementare, si avanza l’ipotesi di DSA. “La sollevò dopo qualche mese trascorso in classe la nuova maestra di matematica. Dopo tutte le verifiche del caso a Giulia è stato riscontrato un disturbo dell’apprendimento legato alla lettura, che prevede in classe l’uso di fotocopie in caso di lettura di più pagine ed una serie di accorgimenti per noi a casa. Oggi ha un regolare PDP (piano didattico personalizzato) ma alla sua età oramai il grosso è fatto: quella bambina ha fatto molta più fatica del dovuto per raggiungere risultati che sarebbero stati anche migliori, come quelli che oggi raggiunge alla secondaria”.

La scuola oggi ha tutti gli strumenti per identificare i disturbi dell’apprendimento, ci sono le continue formazioni e le occasioni di aggiornamento con dirigenti molto attenti al problema. E ci sono persone eccellenti capaci di capire i segnali del DSA. Ma a volte basta un insegnante ad ostacolare il percorso. Nel caso di Giulia c’era una docente un po’ retrò che aveva una propria idea e non era disponibile a cambiarla. Dall’altra c’era una mamma che denunciava i sintomi ma non aveva le basi per dare loro un nome. Chi ci ha rimesso alla fine? La piccola Giulia che oggi, un po’ meno piccola, ha un ricordo pessimo degli anni di scuola che dovrebbero essere invece i più spensierati.