L’autismo è una sindrome complessa e attualmente se ne parla abbastanza. Per anni però è stata ignorata e non è stato semplice, una volta individuata, trovare gli strumenti più adatti per affrontarne le numerose problematiche. Ad oggi molto è stato fatto, diverse terapie e tecniche sono state sperimentate e molte di esse anche con successo: ma non c’è ancora chiarezza sulle cause e soprattutto non c’è completezza di informazioni perché si tratta di un fenomeno troppo ampio e soprattutto variegato nelle sue forme.
Al di là della ricerca. poi, c’è la quotidianità di chi vive il problema. Perché gestire una persona autistica non è semplice, si ha spesso a che fare con disturbi della comunicazione più o meno gravi, del comportamento e dell’interazione con gli altri. In alcuni casi le persone autistiche non parlano, tendono ad isolarsi e presentano disabilità intellettuali. Ci sono però anche forme più leggere in cui, nonostante i problemi nella comunicazione, le capacità intellettive e di linguaggio non sono compromesse.
In genere i disturbi dello sviluppo compaiono prima dei tre anni: in molti casi i genitori si accorgono subito del problema, ma in altri questo non accade perché magari si atribuisce il tutto al carattere del bambino. Sono diverse poi le reazioni di un genitore davanti alla diagnosi della malattia: c’è chi si abbatte e non accetta la realtà, chi cerca a tutti costi le ragioni o chi addirittura si sente in colpa. Ma ci sono anche tante famiglie che, guidate nel modo giusto, da subito vengono convogliate verso centri specializzati perché si intervenga prima possibile cercando di prendere, come si dice, il toro per le corna. Ed è la cosa migliore perché la diagnosi precoce è di grande aiuto: quanto prima si interviene, tanto migliori e più numerosi saranno i risultati.
Francesca è una donna di 35 anni, vive nella provincia di Foggia, ed è la mamma di Carlo che ha 7 anni. Carlo è un bambino biondo, riccio, con due splendidi occhi marroni. Ed è autistico. Francesca ci racconta la storia del rapporto speciale che ha con lei, con suo padre, ma anche… con i suoi quadernoni.
Francesca, sei diventata mamma molto giovane, raccontaci di te e di quando è nato Carlo.
Mi sono sposata giovane, a 27 anni, un anno di matrimonio ed è nato Carlo. È stata una gravidanza tranquilla, sono stata sempre bene, ho lavorato fino ad un mese prima del parto, che è stato naturale senza alcun problema. Ad un anno o poco più Carlo iniziava a dire già le prime paroline, tornai al lavoro e i suoi quattro nonni gli facevano da baby-sitter. Insomma mio figlio cresceva tranquillamente e fino ai due anni non ho notato nulla di strano.
Che cosa vi ha portati a capire che in Carlo c’erano dei problemi?
Sono una maestra, insegno in una scuola elementare. Lavoro cinque giorni su sette, orario scolastico, quindi sono molto presente a casa. Stessa cosa mio marito, insegna educazione fisica in una scuola media, quindi tutti i giorni, salvo imprevisti, pranziamo assieme e il pomeriggio Carlo stava sempre con noi. Il bimbo aveva due anni e i nonni si accorgevano che diventava ogni giorno sempre più solitario. Passava pomeriggi interi senza dire una parola. Anche noi notammo qualcosa di strano, nel senso che oltre a non parlare e ad essere completamente assente, andava sempre nello studio di casa a sistemare, a mo’ di piramide, i miei quaderni dell’università. Iniziai a preoccuparmi seriamente, soprattutto perché diventava sempre più assente, come se non ci seguisse, sembrava che vivesse in un mondo tutto suo. Allora iniziammo a pensare che era colpa della televisione, troppo tempo davanti ai cartoni. Così, ipotizzando un problema all’udito, presi un appuntamento da un otorino che escluse subito quella causa e ci consigliò di andare da uno psichiatra, forse aveva intuito qualcosa. A scuola, in quelle settimane, era in corso un progetto sulle disabilità e parlai di Carlo con una tirocinante che studiava psicologia. Mi diede il contatto della sua referente, ne parlai con mio marito e fissammo un primo appuntamento con lei seguito da quello con il neuropsichiatra infantile. Ricordo che era Natale, un brutto Natale…l’appuntamento era a gennaio.
Come è stata diagnosticata la sindrome?
Gennaio arrivò davvero con fatica. Incontrammo il dottore che fece, da solo, un colloquio con Carlo. Fu l’inizio di un calvario di terapie di gruppo, di incontri, di test psicometrici. Carlo era come assente, si isolava, non ascoltava noi e nemmeno il dottore e ogni giorno peggiorava. Ogni volta che vedeva dei quaderni scattava come una molla e iniziava a sistemarli, ogni volta. E arrivò la diagnosi: autismo. Ci cadde il mondo addosso. Reagimmo molto male, pensavo al suo futuro e a come sarebbe stata la sua vita quando noi non ci saremmo stati più. Avevo avuto contatti con bambini autistici, ma sempre come insegnante e nemmeno in prima persona, perché insegno da quando ho 26 anni e non sono nemmeno mai stata sul sostegno. Pensavo non tanto ad affrontare questi anni, pensavo a noi, anziani e stanchi, non in grado più di seguire nostro figlio: questi sono stati i miei primi pensieri.
Come avete affrontato questa situazione?
I primi mesi sono stati molto difficili, portavamo Carlo in terapia tre volte a settimana ed era molto complicato perché era nervoso. Avevamo portato comunque uno scombussolamento nella sua vita, non solo nella nostra. Era abitudinario e il fatto di uscire a quell’ora, per tre pomeriggi a settimana, rappresentava per lui un motivo di stress. Poi si è abituato ed è diventato partecipe, nei limiti del suo possibile. Abbiamo imparato a capire le sue esigenze e i suoi gusti, cosa gli piace e cosa lo infastidisce. Odia che qualcuno tocchi i suoi quadernoni, che si entri all’improvviso nella stanza, odia i rumori pesanti o gli abbracci improvvisi. Sappiamo che non vuole stare in posti affollati, quindi evitiamo di andare alle feste, di uscire quando c’è troppa gente o di frequentare posti rumorosi. Inizialmente ci sembravano delle rinunce, ora sono solo delle azioni necessarie per il bene di Carlo, non ci facciamo nemmeno più caso.
Ora ha sette anni, quindi va a scuola. Come si vive l’età scolare?
Non so se è perché Carlo frequenta la stessa scuola elementare in cui insegno ma non abbiamo avuto problemi aggiuntivi. Però è sempre stato seguito da un’ottima maestra di sostegno. I compagni sono molto carini con lui e a volte si dimostra collaborativo con loro. Anche in classe ha la mania si sovrapporre i quadernoni ed è quasi scocciato che non si tratti dei quaderni che ha a casa. Ha dovuto accettare di non portarseli dietro, lo ha capito. A casa ho preferito far venire una ragazza, sta qualche ora con lui, lo aiuta nei compiti tre volte a settimana, anche se io sono presente. Guidati dagli esperti abbiamo valutato che se si abitua ad avere una presenza costante legata al momento dello studio forse riesce a concentrarsi meglio nei compiti.
Come vedi il futuro prossimo?
Sono molto fiduciosa, una diagnosi precoce è importante perché anticipa la terapia e accresce in noi la speranza che lui possa vivere meglio. Io già vedo qualche progresso, non voglio assolutamente distorcere la realtà, ma davvero Carlo sembra essere più sereno rispetto ad un anno fa. Se intorno a lui ci saranno sempre persone che non si deprimono, pronte ad affrontare a mano a mano il problema, magari non sarà tutto in salita e magari, nel tempo, potrà avere una vita che si avvicina un po’ alla normalità. E’ quello in cui credo fortemente.