Enrico è un ragazzino molisano davvero unico. Autistico, ha 10 anni ed è un vulcano attivo. Ha mille interessi e riempie la sua giornata di attività e divertimento. E’ appassionato di giochi con la realtà aumentata, ossia quella realtà tipica dei giochi mediatici fatta di informazioni convogliate elettronicamente che non sarebbero percepibili con i cinque sensi. Come esplorare una città puntando un cursore sul video o muoversi con un personaggio attraversando mari e monti.
Insomma tra Enrico e il web non ci sono molti segreti. E lui lo sa, perché nonostante la sua età sa già utilizzare Autocad nel disegno tecnico, come altri programmi ad elevata complessità. Sa portare avanti tre puzzle contemporaneamente ed ama costruire miniature di edifici con micro mattoncini.
Un piccolo genio che potremmo immaginare un po’ distante dal resto del mondo. Magari poco attento a quello che gli succede intorno. Ma ancora poco sappiamo dell’autismo e lo stereotipo, come spesso accade, non combacia con la realtà.
Enrico infatti è molto molto educato. Figlio di persone attente e consapevoli, è stato cresciuto con una forte compartecipazione da parte dei nonni che hanno applicato quei valori antichi ed immanenti della corretta condotta. E’ simpatico, adora giocare con il fratello, di poco più piccolo. Sono pazzi di musica, suonano, studiano i vari modelli di strumenti musicali. Ciascuno il suo. Un mare di stimoli e di passione. Il tempo con loro vola. La noia, una sconosciuta.
Ma allora qual è il problema? In che cosa consiste la sindrome di Enrico? Perché la sua famiglia ha dovuto ricorrere ad una terapia per gestire una sindrome che pare non esistere?
Il problema c’è e risiede nella gestione delle emozioni. Enrico se si arrabbia non sa controllare il suo comportamento e se ‘parte la brocca’ urla, dice parolacce, aggredisce verbalmente, piange e dice cose che non pensa. Si trasforma, completamente. Oppure capita che passi in maniera caotica da un discorso all’altro, monopolizza la conversazione su un argomento.
Cerchiamo di capirne di più con la dottoressa Valentina Primiani, assistente analista del comportamento in formazione, di Campobasso.
Intanto, di che tipo di autismo stiamo parlando? C’è una classificazione per riconoscerlo?
Individuare un caso specifico nell’autismo non è mai semplice, essendo la materia ampia, fluida e in continua evoluzione. L’ultima revisione del Manuale Statistico e Diagnostico, il DSM V (APA, 2013), ha proposto la categoria diagnostica Disturbo dello Spettro Autistico includendo in essa quelli prima definiti Disturbi pervasivi o generalizzati dello sviluppo. Questi comprendevano il disturbo autistico, la sindrome di Asperger, il disturbo disintegrativo dell’infanzia, la sindrome di Rett e il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato. La revisione del DSM V ha eliminato i sottotipi introducendo il termine spettro per sottolineare l’eterogeneità del disturbo e indicare un continuum in cui ciascun individuo presenta le proprie specificità. Quindi si possono distinguere forme a basso o alto funzionamento. Diciamo che Enrico presenta un quoziente intellettivo leggermente superiore alla norma, quindi schematicamente rientra nell’alto funzionamento, viste anche le sue spiccate abilità in molti campi.
Da quanto tempo Enrico è in terapia? Su che cosa si va a lavorare in questo caso?
Personalmente conosco Enrico da un mese o poco più. In questo caso il lavoro da svolgere sarà incentrato sul riconoscimento e sulla comprensione delle proprie emozioni, sull’uso sociale del linguaggio, della comprensione degli aspetti pragmatici della comunicazione. Rispettare i turni della conversazione, utilizzare i segnali non verbali utili alla conversazione, adeguare il modo di parlare in base al contesto e alle persone, comprendere metafore, modi di dire e battute. Dovrà inoltre lavorare sul sostenere brevi conversazioni con i coetanei, ampliare gli interessi e ridurre atteggiamenti oppositivi che si possono presentare.
In che modo deve intervenire la famiglia, se lo deve fare?
Coinvolgere la famiglia negli interventi educativi accentua la qualità dell’intervento. Nel caso di Enrico le strategie sono condivise con la mamma e il fratellino, con i nonni, con gli insegnanti e con altre figure di riferimento. Questo per agire fin da subito tutti insieme con le stesse modalità e permettere ad Enrico di sperimentare nel suo contesto naturale di vita ciò che apprende attraverso gli specifici training.
Quali sono le aspettative di un terapeuta in un caso come questo?
Le nostre aspettative coincidono con il suo desiderio di capire e imparare a gestire il disturbo. L’obiettivo ce lo indica lui quando con quegli occhioni carichi di intensità si chiede e ci chiede: Ma perché faccio così? Che cosa avviene nella mia testa? Riuscire a fornire ad un bambino molto sensibile come Enrico le strategie migliori per capire, affrontare e gestire le sue emozioni, è la nostra meta. L’obiettivo è ridurre gli stati di sofferenza, migliorando le capacità di adattamento alle varie situazioni problematiche.