Sono tre le famiglie già accolte dal 24 aprile e sistemate a Castel del Giudice (Is), due nigeriane e una ghanese. Tre coppie giovani e sei bambini: il più grande ha 4 anni. E una quarta famiglia arriverà la prossima settimana.
Collocate in quattro appartamenti presi in affitto da privati hanno già iniziato a familiarizzare con luoghi e persone, con l’aiuto degli operatori del Comune e della cooperativa NuovAssistenza Onlus che gestisce il progetto. Perché a Castel del Giudice l’integrazione si fa così, un passo alla volta, con la collaborazione tra le istituzioni in ogni passaggio.
Solo qualche settimana fa il prefetto Fernando Guida alla presentazione dell’iniziativa aveva parlato di “vera integrazione sociale e lavorativa”, l’obiettivo di questa operazione nata sotto l’egida dello Sprar e se vogliamo unica nel suo genere perché prevede una serie di step volti alla totale autonomia dei gruppi ospitati.
La cooperativa ha la gestione completa, dall’affitto e le spese per le case all’alimentazione, ma sempre con il fine dell’autonomia. “Abbiamo già avviato i corsi intensivi di lingua italiana privilegiando l’aspetto orale per facilitare l’inserimento – spiega la dottoressa Joanna Madejska, responsabile immigrazione per NuovAssistenza – Poi passeremo a corsi formativi intensivi finalizzati all’occupazione. Nel frattempo stiamo operando per l’inserimento sociale con varie iniziative, come la festa del I Maggio in cui li abbiamo presentati alla comunità oppure la merenda tra le mamme in programma per la settimana prossima”.
Raggiungere l’autonomia è possibile ma con i dovuti passaggi: “In questa fase noi facciamo la spesa e loro cucinano da soli – spiega la responsabile – Tappa successiva sarà l’accompagnamento all’acquisto con la guida nella spesa e nella gestione del denaro per raggiungere la fase finale, quella in cui noi daremo i soldi e loro si gestiranno da soli le uscite”.
Il bimbo di quattro anni è stato già iscritto alla Sezione Primavera di Ateleta (la scuola di riferimento) il cui sindaco è stato coinvolto nel processo integrativo e farà la sua parte nell’accoglienza dei piccoli scolari. Intanto le numerose attività di Castel del Giudice che hanno bisogno di manodopera, soprattutto in campo agricolo, sono già state sensibilizzate: terminati i corsi di formazione gli uomini verranno inseriti nel mondo del lavoro. Sempre tutto sotto il controllo di Comune e cooperativa, nonché delle istituzioni superiori che vengono regolarmente aggiornate.
“Decidiamo e facciamo tutto insieme al Comune – spiega ancora la coordinatrice (in foto) – perché ogni passaggio avvenga senza impatto negativo e perché l’armonia e il dialogo regnino innanzitutto tra noi responsabili. E stiamo marciando senza perdere tempo, in grande velocità, perché allungare i tempi è solo dannoso al percorso. Il paese risponde bene sia perché parla con noi, sia perché si rende conto dei benefici di questa operazione”.
In effetti i vantaggi sono reciproci. La cooperativa, infatti, accanto alla coordinatrice e all’insegnante di lingua italiana, ha messo all’opera persone del posto come operatori per l’assistenza sociosanitaria: loro vivono lì, conoscono il territorio e sono anche il filo che lega le famiglie alla comunità. Inoltre la cooperativa impiega sul progetto un team professionale che si sposta nelle diverse strutture composto da educatori, mediatori linguistici e culturali, uno psicologo e l’assistente sociale.
“L’ingresso dei gruppi di migranti nei paesi può diventare aumento delle economie del posto – aggiunge la Madejska – Oltre a pagare l’affitto per le strutture noi ad esempio convogliamo sugli esercizi del paese tutte le spese possibili. Molti paesi in Italia devono il mantenimento della scuola solo ai piccoli migranti”.
Un concetto ben chiaro al Comune di Castel del Giudice, che contro lo spopolamento negli ultimi anni ha investito non poche energie in progetti volti alla creazione di lavoro, iniziative che riguardano soprattutto i prodotti della terra (mele in primis, ma anche erbe, uova biologiche, frutti di bosco) che ora coinvolgeranno anche i richiedenti asilo in un circolo virtuoso che potrà diventare pilota per l’intero Paese.