Castel del Giudice, la cooperativa Artemisia modello di accoglienza da imitare

Un negozio di alimentari che rinasce, una serie di servizi prodotti in loco, l’organizzazione dell’accoglienza di chi vuole ricostruirsi una vita dignitosa. Capita a Castel del Giudice, dove opera Artemisia, la cooperativa di comunità nata nel 2017 per fornire servizi alla popolazione. Entrata a far parte del circuito Legacoop che in questo tipo di impresa ha inciso fortemente in questo piccolo centro, come tanti altri soggetti a spopolamento.

Trecento abitanti, collocato al confine tra Molise ed Abruzzo, Castel del Giudice è un comune dalle caratteristiche tipiche della zona: ambiente incontaminato, tranquillità, vita genuina. Noto per il progetto di rigenerazione urbana che ha dato vita alla splendida area di Borgotufi, annovera sul territorio le attività di Artemisia, la cooperativa di comunità che sabato scorso ha partecipato ad un importante meeting in Vaticano per le strategie di sostegno alle fasce deboli, Ai margini della società.

Artemisia, oltre ad aver restituito vita all’unico negozio di alimentari del borgo, gestisce il laboratorio della produzione di miele locale e il progetto SAI per l’accoglienza di persone migranti. È Elisabetta Gizzi, socia della cooperativa, a parlarcene.

Elisabetta che cosa significa operare in una cooperativa di comunità?

Significa avere un unico ed ultimo obiettivo da perseguire: creare benessere, fornire servizi e trovare risposte per la popolazione. La cooperativa di comunità opera in questo senso. E nasce per dare risposte, parte dai bisogni e dalle esigenze, che diventano i cardini della programmazione e dell’offerta. Non dimentichiamo che si tratta di un’organizzazione no profit che non vuole capitalizzare.

Insieme a Legacoop Molise hai appena partecipato al Simposio Vaticano, che cosa avete portato all’attenzione nazionale?

Sicuramente un approccio nuovo che utilizza tutti gli strumenti possibili affinché le persone ospitate diventino autonome. Infatti abbiamo attivato un sistema che si differenzia dagli altri e che offre supporto costante alle famiglie nella routine quotidiana, come accompagnare i bambini a scuola o fare la spesa.

Quale ruolo ha il Comune in tutto questo?

Ha un ruolo fondamentale: raccoglie le istanze, conosce il territorio, sa quali sono i punti sui quali occorre agire maggiormente. E poi appoggia le iniziative, aiuta a coinvolgere le persone. Infondo rappresenta chi beneficia dei servizi.

Qual è stato il percorso di Artemisia?

È nata nel 2017, qualche anno dopo ha aperto il negozio di alimentari che non c’era più. E nel 2020 ha dato vita ad un laboratorio di produzione di miele, che viene conferito dai membri di un’associazione apiaria del posto.

Quali i risultati sinora ottenuti?

Innanzitutto la possibilità per gli abitanti di acquistare in paese i generi alimentari, senza doversi spostare altrove. Poi la possibilità di lavorare per le persone che operano nei diversi servizi. E ancora l’avvio di una produzione di miele locale genuino attraverso un piccolo circuito economico e la valorizzazione degli hobbisti che hanno le arnie. Infine molte persone fuggite da situazioni a rischio vita con i loro bambini hanno trovato in questo paese la serenità, hanno inserito i loro bambini, hanno ritrovato condizioni di vita dignitose.

Quanti sono i richiedenti asilo che oggi vivono a Castel del Giudice?

Ad oggi abbiamo tre famiglie che, accolte negli anni scorsi con i progetti statali SPRAR e SIPROIMI e guidate da operatori specializzati in percorsi di inserimento, si sono perfettamente integrate. Altre due, una afghana e una venezuelana, fanno parte del progetto SAI (sempre statale) ancora in corso.

Non mancheranno le difficoltà. C’è una formula per superarli e continuare a crescere?

Sicuramente la condivisione degli obiettivi e delle azioni attraverso il confronto continuo. Da soli non si arriva lontano. Noi facciamo tutto insieme, dal caffè del mattino alla grande manifestazione di piazza. Secondo me non si deve perdere mai di vista la prossimità, che regola ogni azione. Vivere il lavoro con empatia, con la voglia di collaborare sempre e con tutti. Mai chiudersi rispetto al nuovo. E poi dare un giro di volta alla concezione della vita.

In che senso?

Io penso che la cooperativa di comunità, soprattutto in luoghi piccoli come il nostro, funzioni soprattutto se riusciamo a guardare la nostra giornata in maniera meno frenetica, sposando stili di vita più tranquilli, se impariamo a prenderci i tempi necessari e a concederli. Insomma un approccio alla vita più slow, che guardi alla qualità.

È difficile portare avanti tutto questo?

Beh… alcuni giorni un po’ di più.