Cop 25, salta la trattativa sul mercato del carbonio

Non è arrivata una buona aria da Madrid. Non sono bastate  le 42 ore in più per trovare un accordo sul futuro della nostra casa comune. Nella Cop 25, che ha coinvolto circa 200 Paesi, non sono stati, infatti, raggiunti nuovi obiettivi rispetto a quelli della Cop 24, che si è svolta lo scorso anno in Polonia.

A Madrid, come era prevedibile, è fallita  la trattativa sul clima. E’ mancata l’intesa  sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, quello relativo alla regolazione globale del mercato del carbonio, e che avrebbe permesso ai Paesi di scambiarsi quote di Co2. C’è infatti chi vorrebbe un “doppio conteggio”: a carico di chi vende e di chi compra.

Ancora una volta i governi degli stati ricchi si sono opposti al tentativo di abbandonare le politiche energetiche basate sulle fonti fossili. Soltanto all’ultimo momento (la conferenza si sarebbe dovuta svolgere dal 2 al 13 dicembre, ma è terminata il 15)  è stata raggiunta un’ intesa per chiedere un aumento nel 2020 degli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra, in linea con gli Accordi del 2015.

La Cina e l’India, due nazioni con un alto impatto ambientale, avevano già rinunciato a impegnarsi. Gli Stati Uniti ancora di più annunciando il loro ritiro dall’Accordo di Parigi. In direzione opposta è andata invece la linea politica  dell’Unione Europea, che ha fatto un passo avanti nell’approvazione della neutralità del carbonio entro il 2050, ma ha trovato il sostegno soltanto da parte dei paesi  più vulnerabili.

“C’era necessità di decisioni che rispondessero alle sollecitazioni lanciate dalle nuove generazioni, che avessero la scienza come punto di riferimento, che riconoscessero l’urgenza e dichiarassero l’emergenza climatica – ha dichiara Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International – Anche per l’irresponsabile debolezza della presidenza cilena, il Brasile e l’Arabia Saudita hanno invece fatto muro, vendendo accordi sul carbonio e travolgendo scienziati e società civile. L’accordo di Parigi potrebbe essere stato vittima di una manciata di potenti ‘economie del carbonio’. Da questa Cop è tuttavia emerso che ci sono alcune forze positive al lavoro: la High Ambition Coalition durante questa settimana ha offerto un’ancora di salvezza, e i piccoli Stati insulari si stanno rafforzando di giorno in giorno, mantenendo vivo l’Accordo di Parigi”.

Le associazioni ambientaliste puntano il dito  contro la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti, il Brasile e l’Arabia Saudita,  perché non vogliono ridurre le emissioni di gas serra. “Sebbene questa conferenza fosse stata definita come la “Cop dell’ambizione”, a Madrid è stata evidente la mancanza della volontà politica necessaria a rispondere alle indicazioni della comunità scientifica – ha spiegato in una nota il WWF – I governi regressivi continuano ad anteporre i propri interessi alla crisi planetaria e al futuro delle generazioni future”.

E ha aggiunto: “A eccezione dell’Unione Europea, i colloqui hanno mostrato una totale mancanza di volontà di accelerare le azioni da parte dei maggiori emettitori di anidride carbonica e altri gas serra. Sono state rinviate le decisioni sul mercato del carbonio a causa del costante tentativo di alcuni Paesi di inquinarlo con l’aria fritta proveniente dai crediti sui progetti, molti del quali discutibili o non addizionali, attuati nel protocollo di Kyoto”.

Secondo Legambiente: “Non c’è alcun impegno chiaro dei Paesi industrializzati a mettere a disposizione delle comunità povere colpite dai disastri ambientali le risorse necessarie (almeno 50 miliardi di dollari entro il 2022) per una rapida ricostruzione e ripresa economica dei territori colpiti, evitando così anche il preoccupante aumento dei profughi climatici. Risorse queste aggiuntive ai 100 miliardi di dollari l’anno per il sostegno alle azioni di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici, già previsti per il 2020 e da estendere al 2025 in attesa della revisione complessiva del sistema di aiuti”.

Ha poi spiegato l’associazione ambientalista: “Non è stato raggiunto l’accordo sulle linee-guida riguardanti il ricorso ai meccanismi di mercato previsti dall’Accordo di Parigi. Rimangono forti divisioni, in particolare per quanto riguarda il phasing-out dei meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto e l’introduzione di criteri stringenti per evitare qualsiasi forma di “doppio conteggio” delle riduzioni di emissioni, in modo da garantire la necessaria ambizione ed integrità ambientale di tutti i meccanismi di mercato, nel pieno rispetto dei diritti umani”.

La questione dell’emergenza climatica è stata quindi rinviata. Se ne parlerà al Vertice Ue-Cina, in programma il prossimo settembre a Lipsia, dove i capi di stato e di governo europei dovranno presentare una proposta  in grado di spingere la Cina a sottoscrivere un accordo ambizioso in vista della Cop26 di Glasgow del 2020. E un ruolo importante il prossimo anno dovrà svolgerlo l’Italia, che, oltre ad ospitare la Pre-Cop, organizzerà un evento  a Milano per  i giovani  provenienti da 198 Paesi del mondo, con lo scopo di  portare la loro visione del futuro nella città scozzese.