Sul caso dei 3 orsi in gabbia in Trentino il parere dell’esperto molisano Antonio Liberatore

Il veterinario molisano opera nella tutela dell’orso marsicano e si esprime su vantaggi e svantaggi dei ripopolamenti, rimarcando le difficili condizioni strutturali in cui vivono i tre animali

casteller_ Trento today

Si chiamano M49-Papillon, M57 e DJ4 e sono tre orsi da qualche tempo al centro di uno scontro tra ambientalisti e Provincia di Trento. I tre esemplari, considerati problematici, si trovano chiusi in alcune gabbie del Centro Faunistico trentino del Casteller, una delle tre colline a ridosso del capoluogo. Il più irrequieto sembra essere Papillon che dopo una prima fuga e recenti costosi rinforzi alla rete di contenimento del rifugio è riuscito di nuovo a scappare.

Il caso è un po’ su tutte le testate ed è veicolo di idee e ideologie, che spesso trascurano la realtà biologica dei fatti. A dare una valutazione di un sistema, quella della protezione degli orsi in Italia, è stato chiamato in causa un esperto veterinario molisano, Antonio Liberatore che per mestiere e per passione degli orsi ha ormai una solida conoscenza.

La storia. Il Centro di recupero fauna Alpina di Casteller nasce negli anni ’60 come ospedale per animali selvatici feriti. Gestito dall’Associazione Cacciatori Trentini venne sottoposto ad interventi volti a creare ambienti adatti alla riabilitazione della fauna selvatica ferita. In questo ambiente, secondo il progetto del parco, gli animali in grado di vivere allo stato selvatico vengono liberati, quelli che per motivi diversi non possono tornare in libertà vengono accolti in grandi recinti con alberi e verde.

A scatenare il tutto è stata la diffusione di un video nel quale alcuni attivisti, dopo aver forzato il recinto, hanno documentato le condizioni di vita giudicate non adeguate di questi orsi. E la polemica si è infuocata. Se da una parte gli animalisti si muovono con manifestazioni, denunce e ricorsi, dall’altra l’assessore Zanotelli della Provincia di Trento ricorda che si tratta di tre esemplari considerati problematici: “Noi mettiamo solo in pratica quanto stabilito dalla legge. Quegli orsi in qualsiasi altra parte del mondo sarebbero stati abbattuti”.

La vicenda ha poi raggiunto la celebre attrice Brigitte Bardot, che agli animali ha dedicato la vita. Da lei quindi è giunta la proposta di trasferire i tre esemplari in un parco orsi che con la sua fondazione gestisce in Bulgaria. Proposta raccolta ed al vaglio dei vertici della Provincia.

Invitato a dare un giudizio sulle pagine online de Il Dolomiti, il veterinario molisano ha innanzitutto valutato oggettivamente le condizioni di vita dei tre orsi. Lui, che nel Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise segue il Piano attuativo di tutela dell’orso marsicano, considera non adatto al benessere degli animali il sistema di cattività adottato nel Casteller.

Ma il punto, secondo l’esperto molisano, per valutare bene il problema è un altro. E’ a monte e riguarda le pratiche di ripopolamento che spesso comportano conseguenze difficilmente sostenibili. E qui il confronto le due realtà, diverse. Quella del Parco Nazionale appenninico e quella trentina. “Da noi – spiega nell’interessante intervista – l’orso è una risorsa e un’entità da salvare ad ogni costo, un endemismo locale dal grande valore biologico. Diversa è la questione trentina, dove l’operazione di reintroduzione è stata fatta come manovra turistico-attrattiva, pensando che fosse un valore aggiunto. Lo è stato fino a quando gli esemplari non sono diventati un ostacolo. Ma ci si doveva pensare prima. Il progetto avrebbe dovuto prevedere questi scenari. Essendo un’operazione fatta con i soldi pubblici, quindi di noi tutti, tutti abbiamo il diritto di chiedere conto”.

Il riferimento dell’esperto è al progetto Life Ursus, molto discusso, che ha determinato, a dire di tanti, incontri tra uomo e orso sempre più frequenti, mettendo in allerta le istituzioni. D’altra parte la popolazione trentina è meno rarefatta e più in evoluzione di quella marsicana. E gli attacchi, veri o fantasia, incidono sull’immaginario collettivo e sulle tensioni che inevitabilmente si vengono a creare in tempi, come questi, già non semplici in materia di salute e sicurezza.