Quando la vittima è lui. Il lato oscuro del sesso femminile

uomo vittima

Nuova conversazione con Daniele Acquasana*. Parliamo di violenza di genere, argomento purtroppo sempre più drammaticamente attuale. Solo che stavolta, a differenza del consueto, parliamo di violenza di donne su uomini.

Il cosiddetto femminicidio è diventato oggetto di cronaca quotidiana, con più casi al giorno che preoccupano e richiedono urgenti interventi ad ogni livello. Ma le storie di vita ci narrano una violenza di genere che pare non sia un’esclusiva solo maschile…

Assolutamente no. C’è una letteratura specifica sulle condotte aggressive e criminose del genere femminile ed è anche ricca di casi particolari. Le donne in alcuni casi possono rivelarsi più crudeli dell’uomo in quanto portate ad essere più vendicative e fredde; la donna omicida, ad esempio  è capace di giustificare l’atto a se stessa e inventare una propria moralità adatta a quel particolare caso. Può privilegiare le armi da taglio, rispetto a quelle da fuoco, veleni, farmaci somministrati in dosi letali, sostanze tossiche in genere. Quella femminile è sicuramente una criminalità, mascherata, poiché in molti casi la donna omicida agisce commissionando ad altri le sue intenzioni criminali, manipolando il missionario. Già nel 1893 Lombroso (La donna delinquente, la prostituta e la donna normale) ne analizzano i tratti. Per Lombroso la donna normale conferma la ‘naturale’ inferiorità fisica e intellettuale della donna rispetto all’uomo, meno evoluta, meno attiva e meno intelligente. In questa visione la prostituzione, prerogativa esclusivamente femminile, equivale al delitto per per il sesso opposto. Insomma il disadattamento disadattamento alla vita di relazione e le difficoltà ambientali  porta nell’uomo al comportamento criminale e nella donna alla prostituzione. La donna criminale per Lombroso è un fenomeno mostruoso dalle caratteristiche fisiche che la avvicinavano più agli uomini che alle donne normali, l’equivalente insomma del “delinquente nato”. Ai caratteri virili della donna criminale, si aggiungono spesso le qualità peggiori della psicologia femminile, cioè l’inclinazione alla vendetta, l’astuzia, la crudeltà, la menzogna, il rancore e l’inganno.

Una visione maschilista, discriminatoria e anche offensiva per il genere femminile. Quale funzione ha avuto nelle ricerche criminologiche questa visione così estrema?

Se l’atavismo di Lombroso è stato sicuramente contrastato ed è lontano dai nostri standard, non si può negare la sua forte influenza in materia di ricerca. Lombroso ha cercato di rendere scientifica la criminologia, con un approccio multidisciplinare che all’epoca era assolutamente nuovo. Per quello viene comunque considerato un famoso antropologo e criminologo, oltre che medico. I suoi studi erano mirati a capire il male, la radice del male che alberga in chi commette un omicidio, un delitto. Lombroso prendeva in considerazione le caratteristiche fisiche e somatiche di un individuo per comprendere la predisposizione al crimine, alla violenza. E da qui il contributo a questa disciplina.

Esiste ancora questa visione così stereotipata del uomo e della donna nello studio del crimine?

In qualche modo forse sì. Alla femminilità sono sempre associate prerogative di dolcezza e fragilità. Quando a delinquere è un uomo l’attenzione si concentra molto di più sull’efferatezza del gesto, quando invece il crimine è commesso da una donna l’attenzione si concentra di più sulle cause che potrebbero averla spinta. E’ la chiave di lettura per interpretare dati costanti, provenienti da tutto il mondo, secondo i quali l’uomo che uccide va prevalentemente in galera, la donna che uccide va prevalentemente curata.

Ma non è proprio così, mi par di capire…

Il lato oscuro femminile è un fenomeno deformato dalla superficialità dei media, tenuto nascosto dal mondo accademico, rimosso dalla coscienza sociale. La cronaca invece dimostra quanto anche il genere femminile sia capace di commettere o commissionare delitti per mezzo di armi da fuoco, accette, coltelli, forbici, rasoi e mannaie; oppure torturare annegare, strangolare, avvelenare, occultare e sezionare cadaveri di uomini, di uomini, donne, anziani e bambini. O rapinare spacciare, picchiare mutilare, estorcere, taccheggiare, truffare e gestire traffici criminali. Da considerare che nella maggior parte delle coppie uomo-donna dette anche serial sex killer nel’85% dei casi la donna è colei che influenza il proprio partner a soddisfare bisogni, fantasie e distorsioni. Negli ultimi anni, tuttavia, sono in aumento i casi di cronaca che hanno riguardato omicidi, atti di violenza e stalking da parte di donne nei confronti degli uomini. Entrambi i generi, infatti, possono rendersi autori di aggressioni fisiche o psichiche, di appostamenti, pedinamenti, danneggiamenti alle cose, minacce o molestie assillanti.

Secondo lei questa mentalità ricade anche sulla gestione degli eventi delittuosi?

Una certa chiusura culturale in questo senso a mio avviso esiste. Ed impedisce agli uomini vittime di abusi di denunciare. Nei fatti il maschio oggetto di aggressioni, fisiche e psicologiche, nonché di vessazioni e anche stalking da parte di mogli o compagne è già restio solo a parlarne: teme di minare alla propria mascolinità. Invece occorre prevenire qualsiasi forma di violenza e maltrattamento, a prescindere dal genere vittima.

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* Assistente sociale con Master in Mediazione penale minorile. Attualmente lavora presso il Uepe di Pescara – Ufficio di esecuzione penale esterna. Vice presidente del Rea di Pescara