L’orrore di ieri è anche quello di oggi, si muore ancora nei campi di concentramento

Si muore ancora nei campi di concentramento. Se la gente merita di morire per le proprie idee, per la propria etnia, per la propria religione, è inutile "cantare" il progresso umano, perché abbiamo fallito.

Poco se ne parla, ma esistono campi di concentramento in Corea del Nord, nei quali i detenuti, maggiormente prigionieri politici, nella maggior parte dei casi muoiono di fame e di freddo, con l’unica colpa di essere parenti di un presunto dissidente. Sono denutriti che spaccano dalle 4 di mattina alle 8 di sera, e dormono su assi di legno. In inverno si arriva a meno 20 gradi. Esistono campi di concentramento anche in Cina e anche qui ci sono prigionieri politici e prigionieri che appartengono a minoranze etniche come tibetani e mongoli. Ci sono 1045 campi di concentramento e vi siano imprigionate circa 8 milioni di persone, ma nessuno ne parla o se ne parla molto poco.

In Malaysia e in Bangladesh vivono i Rohingya. Chi sono costoro? Sono un gruppo etnico musulmano cui il governo birmano non ha riconosciuto la cittadinanza, e giustamente chi sta a capo di tutto ha ben pensato di perseguitali. Circa 100mila vivono a Myanmar, in campi di detenzione per sfollati circondati dal filo spinato. Altri vivono in Malaysia, dove vengono arrestati e spediti in centri di detenzione. No sono certo Hotel a 5 stelle, ma sono luoghi malsani, senza cure nei quali, anche qui, la gente muore, anche di paura. Altri ancora vivono in Bangladesh, nel più grande campo profughi del mondo. Non dimentichiamoci degli Stati Uniti d’America; esistono centri di detenzione come quello di Clint, nel Texas, dove nel 2019 sono stati trattenuti 250 minori non accompagnati in condizioni disumane, costretti a dormire sul pavimento, in una situazione di emergenza sanitaria e di totale abbandono.

Tutti sappiamo che, o almeno dovremmo sapere, che ci sono campi di concentramento in Turchia, in cui vivono rifugiati siriani in condizioni orribili, di sovraffollamento, di mancanza di cure mediche e di qualsiasi forma di assistenza. Cosi come in Libia in cui bambini, adolescenti, uomini e donne vengono torturati e le donne stuprate di continuo. In Iraq, in Siria, In Asia Centrale, in Eritrea, in Somalia e in tante regioni dell’Africa Centrale, migliaia di uomini vengono massacrati di botte ogni giorno. Vorrei chiamarla “emergenza umana“, perché è l’uomo, in carne e ossa, ad essere in stato d’emergenza. Non nascondiamo che chi sfugge da questi campi, se non affoga prima, arriva in Italia e tanti non se la passano meglio. Ricordiamo le strutture di detenzione, in cui vengono rinchiusi i richiedenti asilo in attesa di essere identificati.

Ricordare l’orrore di 75 anni fa è necessario, ma è necessario ricordare anche milioni e milioni di persone che stanno vivendo in condizioni disumane. Studiare storia ha senso solo se riportiamo gli eventi nel presente, nei limiti del possibile, cercando di non ripetere ciò che è già successo. Ma a quanto pare siamo lontani anni luce dal recupero della dignità dell’uomo e dal rispetto di tutti gli esseri umani.