Parlo con Donella, una signora di mezza età, ma l’aspetto e la grinta sono quelli di una ragazzetta. “Lo sconforto è sempre dietro l’angolo – mi dice più volte durante la lunga conversazione – Ma mai e poi mai arrendersi! Lo ripeto sempre alle famiglie del gruppo con cui sto facendo un bellissimo percorso”.
Il gruppo è quello del progetto Appy Family, avviato in autunno dal Comune di Isernia e dalla cooperativa NuovAssistenza Onlus per far incontrare famiglie con presenza di disabilità e far nascere un clima di mutuo aiuto. I partecipanti, una decina di famiglie, si sono conosciuti di persona e hanno condiviso parte del percorso in presenza. Poi con l’arrivo della pandemia hanno proseguito con attività guidate attraverso il telefonino: chat, messaggi, foto, video e immagini hanno legato sempre di più i partecipanti fino ad oggi. “Se vivi le stesse emozioni, positive o negative che siano – spiega Donella – l’empatia è massima. Questa è la forza di Appy Family”.
“La mia esperienza è come quella di tante altre famiglie. Durissima, soprattutto al primo impatto. Scoprire che tuo figlio non crescerà come tutti gli altri ti disorienta, ti sconvolge, ti catapulta in uno strano mondo dove tutto, dico tutto, assume una forma alterata, irriconoscibile… E’ un passaggio obbligato, difficile da spiegare e anche solo da ricordare – spiega Donella attenuando leggermente il tono della voce – Ma poi si deve superare. Bisogna prendere il fardello e procedere. La svolta è il fare. La via d’uscita a mio avviso è l’azione. E’ la ricerca di tutte le strade percorribili, la ricerca di tutte le opportunità che puoi dare a tuo figlio”.
Allo sconforto si risponde con l’attività. Questa è una regola che vale sempre e per tutti. Ma per Donella è ferrea norma di vita.
“I nostri ragazzi hanno diritto di avere il massimo delle loro possibilità, come tutti i ragazzi del mondo d’altra parte. Hanno il sacrosanto diritto di essere felici. E questo non è un sogno. E’ la realtà che devi costruire giorno dopo giorno. Ma si raggiunge, la tocchi e la vedi, ma soprattutto la leggi negli occhi di chi la vive”.
Essere determinati nella vita aiuta, ma tanta positività Donella l’ha acquistata nel tempo. “L’incontro con la disabilità prima mi ha distrutta e poi mi ha cambiata – spiega ricordando i giorni della difficile scoperta – Io non ero così attaccata alla vita, oggi invece amo ogni dettaglio della mia esistenza. E cerco quanto più posso di contagiare gli altri, di aiutare chi vive la stessa mia realtà”.
E l’aiuto per Donella è innanzitutto pratico, materiale. Nel gruppo Appy Family la reciprocità è lavoro, fatica, presenza fisica nell’aiutare un ragazzo a vestirsi, soccorso se occorre una mano, aiuto in una qualsiasi attività quotidiana come la spesa o un passaggio a scuola. “Certo, è anche parlare, ascoltarsi, confrontarsi – aggiunge lei – Ma poi è agire, altrimenti le parole restano nel vento e i risultati non si vedono”.
I suoi personali risultati? Eccezionali, è una vera gioia raccontarli, parlarne e diffonderli per incoraggiare chi si ferma. “Francesco aveva pochi mesi – racconta la nostra amica – Io da mamma percepivo qualcosa di stonato nell’insieme dei suoi movimenti. Avevo già un altro figlio di 5 anni, non ero alla prima esperienza. Molti all’inizio mi dicevano che ero fissata, ma a Bologna riscontrarono un problema neurologico. Prendemmo subito il toro per le corna: psicomotricità, logopedia, sport, attività di ogni genere sono state le nostre insostituibili compagne di vita fino ad oggi. Molti gli ostacoli, tante le difficoltà ad ogni livello. E’ stata dura ma sono felice…”.
Francesco ha 21 anni, è affetto da un disturbo dello spettro autistico e della personalità, ma ha raggiunto un elevatissimo livello di autonomia. Per le sue attività quotidiane prende l’autobus da solo, suona l’organetto, va a cavallo, è pieno di impegni. Si è diplomato al liceo artistico con 91.
“Nessun miracolo, solo un chiaro punto di partenza: accettare realmente la propria condizione. Senza questo cardine tutto è falsato. La disabilità si deve accettare e mostrare, va curata e combattuta. Mio figlio è stato educato a farsi aiutare ed è fondamentale, perché intorno a noi si è creato un sistema di supporto naturale. E di affetto. Francesco e molto conosciuto e tutti se serve gli danno una mano, nella naturalezza. E tutto si semplifica”.
Purtroppo la letteratura sociale racconta una realtà molto diversa da quella che ci racconta Donella. Come lei stessa conferma ci sono molti genitori che non hanno accettato fino in fondo la disabilità dei loro figli. E questo si ripercuote sulle scelte che operano: c’è chi rifiuta l’insegnante di sostegno, chi non vuole iscrivere i ragazzi ai centri specializzati, chi facilita la loro vita in tutto purché si sentano uguali gli altri. E non fa altro che renderla una triste finzione.
C’è ancora, insomma, una preistorica paura dell’etichetta. Un’antichissima forma di vergogna. Vergognosa.
“Siamo noi genitori di ragazzi disabili i primi a dover rompere la barriera della distanza – afferma con enfasi la nostra amica – Siamo noi il più delle volte a creare negli altri il disagio del diverso. Quando invece possiamo e dobbiamo trasmettere con serenità la debolezza dei nostri ragazzi, facendo scattare nell’altro l’affettuoso sentimento dell’aiuto spontaneo”.
E’ questo un principio che alla fine vale per tutti, per ogni ragazzo, per ogni essere umano. Abbracciare le proprie e le altrui debolezze, guardarle con accettazione e possibilmente con una punta di ironia. Curarle con l’infallibile forza dell’amore. Godere, infine, degli inaspettati traguardi.