Vivere senza cittadinanza: sono 10 milioni gli apolidi nel mondo

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La dissoluzione dei confini, la cessione di un territorio, il diniego arbitrario, il ritiro della nazionalità da parte di uno Stato. Sono queste le principali cause dell’apolidia. Vivere senza cittadinanza significa non poter accedere al sistema sanitario, non poter frequentare una scuola, non poter ottenere un contratto di lavoro o non poter sposare la persona che si ama. Significa vivere ai margini della società. E così, in un periodo storico in cui il dibattito sul superamento degli Stati-nazionali viene osteggiato da una nuova deriva sciovinista, il numero degli invisibili è di circa 10 milioni.

A partire dal 2004, grazie alla campagna #IBelong dell’UNHCR, più di 166.000 persone apolidi hanno acquistato la nazionalità, 20 paesi hanno aderito alla Convenzione sull’apolidia e il numero complessivo degli Stati aderenti alla Convenzione del 1954 relativa allo status degli apolidi è arrivato a 91. Sono invece 73 le adesioni alla Convenzione del 1961 sulla riduzione dell’apolidia. Molti passi avanti sono stati compiuti, eppure tutto questo non basta. Sono 25, infatti, i paesi in tutto il mondo che mantengono ancora disposizioni discriminatorie sulla base del genere nelle proprie leggi, impedendo alle madri di trasmettere la nazionalità ai propri figli allo stesso modo dei padri. Il Madagascar e la Sierra Leone sono i paesi che più di recente hanno cambiato questo tipo di leggi.

Per rispondere all’apolidia, in quasi tutte le regioni del mondo sono state promosse dichiarazioni e piani d’azione in difesa dei diritti umani. In particolare, il sedicesimo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile è quello di garantire a tutti un’identità legale entro il 2030. “Oggi chiedo ai politici, ai governi e ai legislatori di tutto il mondo di agire immediatamente e di adottare e sostenere azioni decisive per eliminare l’apolidia a livello globale entro il 2024”, ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi. “Dal punto di vista umano, etico e politico, è la cosa giusta da fare. Ogni persona su questo pianeta ha diritto alla nazionalità e ha il diritto di dire: Esisto”. Molti sono apolidi dalla nascita, altri diventano apolidi perché sono costretti a fuggire dalle guerre o perché fuggono dalle catastrofi naturali.

Per quanto riguarda l’Italia, secondo il Rapporto annuale dell’Associazione 21 Luglio, sono 15.000 le persone che si possono definire “apolidi di fatto”, vale a dire coloro che pur essendo tecnicamente cittadini di uno stato, non riescono ad ottenere un riconoscimento di alcun tipo. Sono ancora troppe quelle che non avrebbero bisogno di farsi riconoscere lo status di apolidi, e che tuttavia vengono abbandonate dalle istituzioni. Costrette ad essere invisibili. Il caso più evidente è quello dei Rom. E quindi di persone arrivate in Italia negli anni Ottanta o Novanta, poco prima della guerra che ha disgregato l’ex Jugoslavia o durante la guerra stessa. Ad alcuni non è stata riconosciuta la cittadinanza dai nuovi stati nati in seguito alla disgregazione della Jugoslavia. In altri casi, i paesi di cui sono cittadini non riconoscono la cittadinanza per i figli o non riescono a richiedere la cittadinanza del paese d’origine per i figli a causa di problemi materiali, come non riuscire a recarsi al Consolato per presentare la domanda. Per molti giovani apolidi, infine, avere un documento non è importante, perché l’unica vita possibile sembra essere quella all’interno del campo rom.