Colloquio di lavoro in vista ? Risponde il recruiter

Bettina Di Nardo è esperta in gestione delle risorse umane e formazione manageriale. Ecco qualche consiglio ai giovani in cerca di lavoro

Bettina Di Nardo

Che il Covid-19 abbia mandato in tilt il mercato del lavoro è un dato di fatto. Tra i disoccupati ancora molti giovani e neolaureati non riescono a trovare un’occupazione. Se da un lato le ricerche impazzano sui diversi portali, dall’altro i selezionatori si sono trovati all’improvviso ad analizzare i curriculum di numerosi candidati provenienti dai più disparati settori professionali.

Per cercare di far chiarezza in tema di candidature ed approfondire le dinamiche dei processi selettivi aziendali abbiamo intervistato Bettina di Nardo, titolare dell’omonimo studio di consulenza del lavoro ed esperta di sistemi di gestione del personale.

Dottoressa Di Nardo, con l’insorgere della pandemia molti settori stanno vivendo una crisi senza precedenti. Come sta gestendo il settore HR il forte flusso di candidature provenienti dai più disparati ambiti lavorativi?

Innanzitutto nella fase iniziale di selezione vengono considerate le domande con competenze nell’ambito ricercato. Lo screening e l’analisi del curriculum si fanno sempre. Pian piano la rosa dei candidati si stringe considerando gli elementi chiave che inducono a fare delle riflessioni. Tra queste la provenienza, la disponibilità al trasferimento, la conoscenza delle lingue e l’età. Nonostante lo scoraggiamento generale dovuto alle condizioni occupazionali, i giovani restano sempre e comunque la categoria sulla quale le aziende preferiscono scommettere.

Dunque quanto contano le competenze trasversali rispetto al titolo di studio conseguito?

Oggigiorno ciò che fai ti rende unico. L’esperienza, sia essa di vita o lavorativa, aiuta costantemente a crescere e a maturare. Questi concetti hanno cambiato anche il sistema di recruiting all’interno delle aziende, dove i ruoli sono ormai più fluidi. Esistono le cosiddette caratteristiche soft che possono fare la differenza. Ad esempio se un candidato dimostra una propensione all’apprendimento, all’innovazione, al cambiamento, allora le competenze tecniche specifiche possono passare in secondo piano ed essere acquisite all’interno del team di lavoro in cui verrà inserito.

E quando si cerca il “neolaureato con 3 anni di esperienza lavorativa”, a che cosa ci si riferisce in realtà?

Questa è una questione delicata che molto spesso è fonte di amare barzellette. Concettualmente è una condizione impossibile, per cui bisogna interpretare il contesto a cui si riferisce. Per neolaureato in genere non si intende un laureato da pochi mesi, ma un laureato che abbia già accumulato qualche esperienza. Molte volte quest’espressione viene utilizzata anche per necessità di sintesi, talvolta in modo poco adeguato per focalizzare la ricerca su figure junior con un minimo di esperienza.

Quanti sono in media i colloqui che il candidato deve affrontare in un processo di selezione?

In media i colloqui sono due. La prima selezione viene effettuata dal responsabile delle risorse umane o HR Manager, che valuta i profili presentati e individua quelli che più si adattano alla posizione ricercata. Quindi si passerà al colloquio con il responsabile del settore interessato alla selezione. Se l’azienda ha un’organizzazione complessa e si trova a gestire un numero significativo di aspiranti, i colloqui possono aumentare includendo anche quelli di gruppo.

Prima del colloquio c’è sempre ansia ma anche entusiasmo per l’opportunità in gioco. Il problema sorge dopo, quando durante l’attesa le emozioni negative prendono il sopravvento, soprattutto quando non vengono dati termini temporali. Come si affronta la famosa frase “Le faremo sapere”?

Bisogna comunque lasciare un po’ di tempo alle aziende per consolidare i colloqui e procedere con la scelta. Per la fase successiva, quella dell’esito, ogni azienda ha il suo modo di procedere. Alcune danno un limite entro il quale aspettarsi l’esito positivo, lasciando desumere il contrario in assenza di risposta. Altre, con un livello di bon ton organizzativo più elevato, rispondono comunque, indicando a volte anche le motivazioni di esclusione. Quello che fa la differenza sullo stato ansioso del candidato sono sempre i tempi, dettati a volte da improcrastinabili priorità lavorative.

Vuol dire che chiamare per avere notizie in merito alla propria candidatura è sinonimo di impazienza e presunzione? Dopo quanto tempo è giusto chiamare per ricevere un feedback dall’azienda?

La telefonata del candidato in assoluto non è negativa, anzi può dimostrare interesse. È chiaro che un pressing a pochi giorni dal colloquio oppure dopo una settimana può essere percepito in maniera negativa. La cosa migliore è chiedere alla fine del colloquio se c’è tendenzialmente un periodo entro il quale si potrà avere una risposta. Rispettare comunque il termine indicato, a meno che il candidato non sia condizionato da un’altra offerta ricevuta e si trovi nella ben augurata circostanza di poter scegliere. In questo caso bisogna parlare sinceramente e chiaramente, perché la cosa potrebbe influire positivamente sulla decisione finale dell’azienda stessa. E’ capitato infatti che aziende abbiamo perso validi candidati a causa delle lungaggini nella selezione.

Considerando la situazione attuale, meglio darsi da fare in un lavoro non attinente al proprio cv ed ambizione personale oppure cercare l’offerta lavorativa sempre sognata?

In questo momento così delicato si tende a prediligere una persona che ha affrontato una posizione di lavoro non attinente nell’immediato alle sue aspettative o iter scolastico, ma che si è data da fare. Ciò che conta è fare esperienze, anche in ambiti non proprio attinenti al curriculum per acquisire capacità trasversali oggi sempre più richieste. L’esperienza lavorativa, qualunque essa sia, dà comunque delle competenze rispetto al proprio curriculum ed è essa stessa già una valida risposta.