L’Europa dei muri: costruita una linea di difesa di 1000 km

muro

Gli stati membri dell‘Unione europea e dell’area di Schenghen hanno costruito quasi mille chilometri di muri, barriere e recinzioni. L’equivalente di più di sei muri di Berlino. Negli ultimi trenta anni,  dei 28 stati membri, 10 nazioni (Spagna, Grecia, Ungheria, Bulgaria, Austria, Slovenia, Regno Unito, Lettonia, Estonia e Lituania) hanno innalzato muri alle frontiere. Dai 2 muri esistenti su suolo europeo nel 1990 si passa a 15 nel 2017; di questi ben 7 vengono eretti nel solo 2015. A spiegarlo è il Transnational Institute (Tni) di Amsterdam, che ha pubblicato “Building walls. Fear and securitization in the European Union”, a cura della ricercatrice Ruiz Benedicto, del Centro studi per la pace di Delas. Ai tradizionali muri sono stati aggiunti quelli marittimi. In particolare, con il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004, è stata istituita l’Agenzia Frontex, che aveva come principale scopo quello di eliminare la criminalità nelle aree di confine e di rallentare l’arrivo di nuovi migranti. Secondo i dati forniti al Parlamento europeo da Frontex, l’agenzia avrebbe intercettato 92.200 persone nelle acque del Mediterraneo e dell’Oceano Atlantico. Questi numeri non coincidono però con quelli indicati da Spagna, Italia, Malta e Grecia, che nel 2008 hanno dichiarato l’ingresso via mare di 67.000 persone. Dietro il dibattito sui dati si nasconde in realtà un problema profondo: la decadenza culturale dell’Europa. Come ha chiarito la ricercatrice Ainhoa ​​Ruiz Benedicto: “queste misure trattano i rifugiati e i migranti come criminali”. In nome della sicurezza, inoltre, sono state intensificate le operazioni di monitoraggio dei movimenti delle persone. In questo modo oltre ai muri fisici sono aumentati i muri virtuali, basati sulla raccolta e l’analisi dei dati biometrici (impronte digitali, iris-scanning, sistemi di riconoscimento facciale). I cittadini europei  hanno paura, si sentono minacciati e chiedono maggiore protezione.  Questo clima di insicurezza, tuttavia,  è  generato  sopratutto dal linguaggio della politica. Per giustificare la presenza di nuove barriere, infatti, i governi devono spesso ricorrere al linguaggio della paura, caratterizzato da messaggi xenofobi e razzisti. In particolare, i partiti di estrema destra utilizzano parole d’odio contro i migranti  per creare nell’ immaginario collettivo un nemico che minaccia la stabilità interna degli stati.

Secondo lo studio, 10 Stati membri su 28 (Germania, Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Ungheria, Italia, Polonia e Svezia) hanno partiti xenofobi, i quali hanno ottenuto oltre mezzo milione di voti alle elezioni dal 2010. E le loro parole continuano a influenzare le politiche migratorie dei  governi. “L’abbraccio dell’Europa all’estrema destra sta costruendo strutture e discorsi di violenza che ci allontanano da una politica di difesa dei diritti umani, di convivenza in armonia con i vicini, di uguaglianza e di relazioni più eque tra paesi”, ha detto Pere Brunet, ricercatore al Centre Delàs e co-autore della pubblicazione. La questione della sicurezza non va però circoscritta agli ultimi anni del 2000. Già nel 1985, con l’accordo di Schengen, prima dello smantellamento della cortina di ferro, insieme alla libertà di circolazione delle persone si tracciavano anche i confini dell’Unione europea, e si indicavano nuovi modelli di difesa internazionale. La ricerca chiarisce che  in seguito agli attacchi alle Twin Towers dell’11 settembre del 2001, l’agenda politica europea è stata modificata per garantire maggiore sicurezza. E per questo motivo sono aumentate le spese militari.

L’Europa, in altre parole, è diventata una vera e propria fortezza, e i suoi confini, tramite i nuovi accordi internazionale, tendono ad allargarsi al fine di controllare le nuove frontiere e il flusso dei migranti. I governi europei, quindi, preferiscono murare i propri confini piuttosto che accogliere le persone disperate, violando i diritti umani. Tuttavia, il rapporto chiarisce che i muri e le misure per controllare i movimenti migratori non hanno chiuso le rotte, ma le hanno soltanto ridefinite. Questo significa che la politica della chiusura è vantaggiosa soltanto per i trafficanti di esseri umani.

“Più muri costruiamo, più difficile sarà abbatterli e più ci allontaneremo l’uno dall’altro- si legge nel rapporto- Ci sentiamo più al sicuro in una fortezza? Vogliamo vivere in un mondo circondato da muri? Ora più che mai, gli immigrati lanciano messaggi strazianti: sempre più persone fuggono dalla violenza e dalla disuguaglianza economica globale. I muri impediscono l’arrivo dei messaggi, e in questo modo non possiamo cambiare lo scenario”.