Persone con disabilità, anche il Molise aderisce alla campagna della Fish

Sull'iniziativa lanciata dalla Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap le riflessioni del responsabile ADV Molise (Associazione Disabili Visivi) Marco Condidorio

adv onlus molise

Utilizzare la locuzione ‘persone con disabilità’ soprattutto nelle pubbliche amministrazioni. E’ il fine della campagna di sensibilizzazione lanciata dalla FISH Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e sposata appieno dall’ADV Molise (Associazione Disabili Visivi) cui responsabile regionale Molise è il professor Marco Condidorio.

Tutti possono aderire alla campagna e sottoscrivere il documento (disponibile integralmente a questo link), entro il 15 giugno prossimo, comunicandolo all’indirizzo agosqueglia@gmail.com (con oggetto “Adesione alla proposta di utilizzare la locuzione ‘persona con disabilità’ in tutti gli atti delle Amministrazione Pubbliche di cui all’art.1 comma 2 del D.Lgs. 165/2001” e indicando il proprio nome, cognome, codice fiscale e indirizzo e-mail).

Entro e non oltre il 15 giugno 2021. Perché a partire da quella data, infatti, il documento stesso verrà formalmente inviato al Coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità.

A tal proposito riportiamo alcune riflessioni sulla ratio e sugli obiettivi di questa iniziativa, espresse proprio dal referente regionale Condidorio.

Cosa significherebbe un utilizzo corretto della locuzione “persona con disabilità”; e non una proposizione discriminante come quella “diversamente abile”, peggio “handicappata”, definizioni con le quali non viene manifestata reale inclusione né emancipazione, di comportamento e linguaggio o costume; diversamente prestiamo il fianco a quella mentalità per cui chi è in condizione di disabilità non è prima di tutto persona, ma l’individuo cui manca qualcosa o più di qualcosa e dunque per quel tipo di mentalità, noi persone in condizione di disabilità, veniamo sempre dopo l’altro, gli altri; sempre e mai prima degli altri, dell’altro; e comunque, indipendentemente dalla nostra volontà, risultiamo essere elemosinanti di diritti, mentre dovremmo essere, al pari di tutti i cittadini, esercenti di diritti che nessuno ci ha concessi, ma che qualcuno pensa di poterci togliere per il solo fatto che non sempre siamo nelle condizioni di evitare questo atto legalizzato di una continua sottrazione di dignità, di personalità.

E così chiediamo che a tutelare questa nostra emancipazione, il primo sia lo stato e tutte le sue articolazioni e rappresentanze istituzioni quali pubbliche amministrazioni che, generalmente dovrebbero essere garanti di quanto chiediamo e abbiamo in qualche modo offerto alla società tutta, la nostra dignità di persone pensanti o sostenute in tale diritto, quale atto di volontà che, se pure passante per qualcun altro, ha pur sempre il valore di libero pensiero in favore della dignità di chi non può esprimerne i contenuti, ma ne è pienamente esercente per il solo fatto d’essere “persona” e non altro.

L’Associazione Disabili Visivi ha aderito all’invito della stessa Presidenza Nazionale della FISH Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e accolto dal nostro Presidente Nazionale avv. Giulio Nardone dell’ADV onlus, di cui noi siamo soci il motto:

perché le amministrazioni pubbliche devono parlare di persone con disabilità“.

Riporto le parole di Simona che nel suo articolo del I giugno scrive:

prima di tutto deve maturare l’impegno per la parità dei diritti, ma insieme a ciò l’uso delle parole giuste è importante»: lo disse il celebre accademico Tullio De Mauro, e su tale concetto si basa la campagna di raccolta firme, promossa da alcune figure note per il loro impegno sui diritti delle persone con disabilità, e già sottoscritta da numerose personalità della cultura, dello spettacolo e delle associazioni, che chiede l’uso della locuzione “persona con disabilità” in ogni atto delle Amministrazioni Pubbliche, in linea con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.*
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Una realizzazione grafica americana raffigurante quattro figure umane stilizzare corredata dal testo “See the Person Not the Disability”, ovvero “Vedi la Persona, non la disabilità”.
«Noi firmatari, tutti impegnati nell’àmbito della cultura dell’inclusione e della difesa dei diritti delle persone con disabilità, riteniamo che la locuzione “persona con disabilità” debba essere utilizzata, per il futuro, in tutti gli atti delle Amministrazioni Pubbliche di cui all’art. 1 comma 2 del Decreto Legislativo 165/01 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche). Pertanto, qualora l’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità ritenesse di condividere le sopraesposte considerazioni, essendo l’alto consesso presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero dal Ministro per le Disabilità, potrà esso stesso proporre di diramare una Circolare, per il tramite del prefato Ministero o avvalendosi del Dipartimento della Funzione Pubblica, a tutte le precitate Amministrazioni Pubbliche, in cui si raccomanderà di utilizzare per il futuro esclusivamente, in tutti gli atti di propria competenza, la terminologia di “persona con disabilità” in conformità di quella utilizzata nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata con Legge 3 marzo 2009, 18»

E’ questo un atto di civiltà e di vero progresso, quello che include, non discrimina e per questo “emancipa” in senso attivo, non passivo, ogni persona con disabilità.

Non è la società a emancipare o a concedere diritti ma, a far sì che la persona con disabilità, attore dei propri diritti, possa essere libera di esprimere se stessa in ogni contesto e al pari d’ogni persona.

Non ho scelto d’essere cieco, la cecità, diciamo così, mi è stata affidata dalla natura e accanto a lei debbo ogni giorno vivere il cammino.

Ma se ognuno vive secondo le proprie potenzialità, aspettative e nel rispetto di regole e in virtù di una organizzazione condivisa, anche con chi non ha la possibilità di far sentire la propria voce, di poter esprimere il proprio assenso o dissenso, la propria volontà, tutti potremmo vivere alla pari, dunque meglio.

Così, in questo senso non è la società che concede libertà o emancipa, ma è la persona che sceglie di essere vittima o protagonista della propria vita; non perché su un documento, una certificazione vi si esprime, inconsapevolmente per taluni, ovviamente per tal altri, un giudizio legalizzato: handicappata, diversamente abile o diverso.

Siamo anzitutto PERSONE, né di più o di meno rispetto a chi può vantare la “normalità” come se quest’ultima si potesse identificare con la definizione di “persona” assai di più, esclusivamente di più e meglio, di chi invece vive la condizione di disabilità.

Mi rivolgo a te cittadino, funzionario dell’amministrazione pubblica o dirigente scolastico, direttore di banca o dell’ufficio postale; a te dirigente dell’ospedale, piuttosto che di un ufficio pubblico.

ADV Molise desidera così lanciare anche nella nostra regione la campagna di raccolta firme, promossa da figure assai note per il loro impegno sui diritti delle persone con disabilità, quali Andrea Canevaro, Salvatore Nocera e Agostino Squeglia, campagna cui hanno già aderito numerose autorevoli personalità appartenenti al mondo della cultura, dello spettacolo e dello sport, nonché al mondo associativo, quale, ad esempio, la Presidenza della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
L’istanza sottesa all’iniziativa intende andare ben oltre la “semplice” questione terminologica, puntando direttamente alla diffusione della nuova cultura sulla disabilità che ha come primo motore di riferimento la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. È proprio da quest’ultima che prende le mosse il documento: «A qualsiasi livello – vi si si scrive infatti – la normativa preesistente nel nostro Paese alla Legge n. 18 del 3 marzo 2009, che ha ratificato la Convenzione ONU, utilizzava diverse terminologie (“portatori di handicap”, “diversamente abili”, “persone handicappate” ecc.), in uso ancora oggi, che molto spesso, anche nelle buone intenzioni, appaiono nel migliore dei casi buoniste e ipocrite, se non invece, peggio, inferiorizzanti e lesive della dignità della persona, in violazione di quanto previsto agli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione. Infatti, ancora oggi in numerosi àmbiti statali, regionali, comunali, locali, in ogni parte del Paese continua ad usarsi meno il termine “handicappato”, ma vige frequentemente il termine “diversamente abile”, come può evincersi da numerosissimi esempi, a partire da atti normativi emanati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri».
Entrando poi nel “cuore” della questione, si sottolinea che, «come è noto, ogni parola connessa alla disabilità, al di là di buone intenzioni, si carica immediatamente di una connotazione negativa e tende a cercare dei sinonimi, creando conseguentemente una confusione terminologica che disorienta e che connota la situazione piuttosto che la persona, con i suoi diritti, con la sua esistenza, come invece la normativa nazionale ed internazionale prevede».

Eppure quando a “non prevederlo” è la cultura locale; la mentalità sociale, frutto di una grammatica delle uguaglianze piuttosto “arcobalenica” a nulla vale il tentativo di redigere un paradigma del diritto utile a rendere le persone con disabilità cittadini a tutti gli effetti, perché tra questi “effetti” qualcuno manca.

Deve cambiare il regime linguistico, dirò lessicale; non sono l’unico a dirlo e a sostenere la necessità di un cambio di mentalità sociale, civile:

«Anche l’enciclopedia Treccani sottolinea che, “la locuzione diversamente abile non è indicatrice di handicap, come talvolta si ritiene, poiché segnala l’esistenza di abilità altre e non di per sé minori”. La predetta affermazione non è onnicomprensiva perché, ad esempio, non si attaglia a persone che hanno una disabilità grave/gravissima senza alcuna possibilità di potersi né esprimere né muoversi e quindi impossibilitate a dimostrare abilità diverse, specialmente quando il contesto non è facilitante o non ne consente la partecipazione.

E da cosa dipende ciò?

Da come la persona (secondo il gergo ordinario, definita normale) si comporta nei confronti di chi, sempre secondo il gergo sociale, è vista come diversamente abile o handicappata, perché disabile, cioè mancante di qualcosa o capacità.

Nei corsi di sostegno, presso UNIMOL ho ribadito spesso che la Legge 104 del 1992 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) poneva già l’attenzione sui diritti e sul termine persone, utilizzando l’aggettivo “handicappate”, allora in uso, che oggi appare spregiativo e sostituito, in diversi ambiti giuridici di alto rango come la Convenzione ONU, dalla locuzione “persona con disabilità”, il quale allarga gli orizzonti sull’interazione con il contesto di vita ed ambientale circostante».

Il documento redatto e condiviso tra le associazioni afferenti l’Osservatorio nazionale e la stessa Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, afferma:

Un altro importante passaggio si rifà a illustri riferimenti, ricordando la consapevolezza comune «che il panorama linguistico di riferimento è variegato e spesso discriminante, come evidenzia un’analisi dell’Accademia della Crusca, ed è anche vero, come rilevò in un’intervista il celebre linguista, accademico e già Ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro, che “le parole sono importanti, ma vengono, se non dopo, certo insieme alle cose e alla maturazione dell’impegno per la parità di diritti”».
«Conseguentemente – conclude il documento – appare necessario evitare qualsivoglia ambiguità semantica e far riferimento piuttosto alla parità di diritti, sia in ossequio ai principi della Carta Costituzionale sia in aderenza a quanto espresso, anche terminologicamente, nella Convenzione ONU, che sin dal titolo indica “persona con disabilità”, termine che apparirebbe esemplificativo e risolutivo, e all’articolo 2 sancisce che “piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione”, volendosi comprendere, a parer di tutti noi, anche la terminologia ivi utilizzata».