“Il 6 maggio del 1976 fu una giornata molto calda”. Comincia così il racconto di Giovanni, che a quarant’anni dal terribile terremoto del Friuli ripercorre per noi quella giornata che non solo per i friulani, ma anche per i tanti giovani militari che, come Giovanni, prestavano servizio in quelle zone resterà impressa per sempre nella memoria.
Giovanni, molisano di Lucito, ha 21 anni nel 1976 e sta per ultimare il suo servizio militare nel Corpo degli Alpini- Genio Pionieri, presso la caserma “GoiPantanali” di Gemona del Friuli. “Ero congedante, ma invece del congedo é arrivato il terremoto”. Guarda le foto di quei giorni e rivive, come fosse ieri, quei luoghi, quelle persone, i momenti di smarrimento, la paura, ma anche la grande risolutezza di un popolo che si é rimboccato le maniche senza perdersi d’animo e ha ricominciato il giorno dopo la tragedia a rimettere insieme i pezzi.
“La mattina del 6 maggio con la compagnia siamo partiti in marcia verso le 4, per 30/40 chilometri lungo i sentieri di montagna. Faceva molto caldo. Siamo rientrati in caserma verso le 17:30. Siamo andati a fare la doccia. Le docce si trovavano in un locale seminterrato. Tutti quelli che hanno tardato a fare la doccia sono morti proprio lì.” É denso di particolari il racconto di Giovanni, che rivive con grande lucidità quei momenti. “Quella sera io e il mio compagno, Gino D’Egidio di Isernia, avevamo deciso di andare a vedere un film nella sala cinema della caserma, ma visto che quello che proiettavano non ci piaceva dopo un po’ siamo usciti fuori e ci siamo diretti verso lo spaccio. Io ho telefonato a casa, ho parlato con mia mamma dicendole che andava tutto bene e che presto sarei tornato a casa. Dopodiché abbiamo preso una birra io e Gino. Eravamo in tenuta da uscita, niente scarpe, ma con gli zoccoli di legno. Per uscire dallo spaccio c’erano tre gradini. Nel frangente che abbiamo percorso quei gradini é stata la fine. Sono stati attimi talmente densi e concitati che non abbiamo avuto neanche il tempo di realizzare cosa stesse succedendo. Ho visto le persone che uscivano di corsa dalla caserma urlando, ho sentito un boato e poi più nulla. Non si vedeva niente. Solo polvere. E si sentivano urla, grida di aiuto e il rumore assordante dei crolli degli edifici intorno a noi”.
Erano le 21:00 all’incirca e il Friuli Venezia Giulia veniva sconvolto da un terribile terremoto, 6.4 della scala Richter, uno dei più disastrosi della storia italiana, con epicentro proprio a Gemona del Friuli. Una scossa interminabile quella del 6 maggio, oltre un minuto, che ha lasciato dietro di se quasi mille morti e interi paesi rasi al suolo.
“La scossa di terremoto é stata così forte che mi ha buttato a terra. Era impossibile vedere qualsiasi cosa. Cercavo il mio compagno Gino urlando il suo nome. Dopo un po’ mi ha risposto. Siamo rimasti a terra perché tutto intorno a noi continuava a crollare e i muli si erano sciolti, erano impazziti e si sentivano i rumori degli zoccoli che sbattevano. Ci siamo trovati a tentoni dopo un po’, ci siamo rimessi in piedi e abbiamo cercato riparo su un camion. Siamo rimasti lì per qualche ora. Piangevamo. Pensavamo ai nostri compagni. Era buio pesto. Mi sono accorto allora che ero rimasto scalzo e avevo i piedi tagliati.”
Giovanni e il suo amico erano poco più che ventenni, soli in mezzo ad un disastro. Alla Caserma Goi sono morte 29 persone. Compagni e superiori di Giovanni, che leggendo ora i nomi dei caduti dice “Al Maresciallo Spirli (anch’egli morto in quella notte) eravamo andati ad imbiancare le pareti di casa qualche tempo prima”. Sono passati quarant’anni e sembra ieri.
“Quando sono sceso dal camion scalzo il primo paio di scarpe che ho trovato tra le macerie l’ho preso. Era di un mio compagno morto. Si sentivano ancora urla dai locali delle docce e tutto intorno a noi era solo povere e distruzione. I primi soccorsi sono arrivati verso le 4 o le 5 di mattina. Erano gli americani che sono arrivati con gli elicotteri dalla base di Aviano a prendere i feriti”.
“La mattina dopo le scosse continuavano. Siamo stati allo sbando per due o tre giorni. Sporchi, senza cibo, senza una guida. Ma chi ci pensava a mangiare? Non avevamo neanche le coperte per dormire la notte”.
Così fu per qualche giorno, dopodiché la macchina degli aiuti si organizzò, portando sostegno, viveri, tende ai civili e anche ai militari, il cui contributo nella gestione dell’emergenza fu importantissimo. Giovanni ricorda che la gente che li incontrava chiedeva loro aiuto anche solo per recuperare qualcosa dalle case. Al suo ritorno in Molise a Giovanni fu attribuito il Diploma di Benemerenza e una medaglia di Bronzo. Non é più tornato in quei luoghi, ma pensa prima o poi di tornare, con la consapevolezza di aver dato una mano a quella gente a riprendere in mano la propria vita.