Giornata mondiale della cannabis, liberalizzarla o no? Che cosa dice la legge italiana?

SPAGHETTI ALLA CANNABIS

Oggi si celebra la giornata della cannabis, perché questa pianta è al centro di forti diatribe politiche per l’eventuale liberalizzazione. E’ notizia di questi giorni l’apertura della Germania verso l’utilizzo di questo seme in particolari casi e situazioni. Ma qual è la situazione in Italia? Quali sono le le sfumature legislative da conoscere per non incorrere in rischi giudiziari?Da decenni, la cannabis è stata un tema controverso e dibattuto in Italia e nel mondo intero. Mentre alcuni Stati hanno legalizzato l’uso terapeutico e ricreativo della marijuana, in Italia la coltivazione, il commercio e il possesso di cannabis sono illegali, salvo alcune rarissime eccezioni.

Tuttavia, ci sono alcuni aspetti della marijuana che sono meno noti e che suscitano ancora molte domande, come la legalità dei semi di marijuana che non viene messa in discussione: d’altronde, in Italia esistono diverse aziende dedicate a questi articoli, tra le quali il noto e-commerce Sensoryseeds offre una vasta gamma di semi di cannabis appartenenti a numerose varietà diverse. Ma, allo stesso tempo, una realtà che presenta dei punti critici non con la dovuta chiarezza dalla normativa nazionale.

In questo articolo esploreremo la situazione legale dei semi di cannabis in Italia, per fornire ai lettori una prospettiva più completa su questo tema controverso.

THC e semi di marijuana: la complicata situazione legale in Italia

Innanzitutto, bisogna distinguere tra semi di cannabis capaci di generare piante con alto contenuto di THC (tetraidrocannabinolo), la sostanza psicoattiva che produce gli effetti stupefacenti della marijuana, e semi di cannabis incapaci di ciò. Questi ultimi sono quelli che rientrano nella legge n. 242 del 2016, che ha introdotto nel nostro Paese il concetto di canapa light, ovvero quelle varietà di cannabis con una bassissima percentuale di THC che, pertanto, non possiedono effetti droganti.

Stando alla legge 242/2016, l’acquisto e la vendita di semi di canapa light sono sempre legali, purché questi ultimi siano certificati. La loro coltivazione, invece, è consentita esclusivamente ai soggetti accreditati dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MIPAAF), che devono rispettare determinati requisiti e obblighi e superare una dedicata procedura di autorizzazione.

Per quanto riguarda i semi di cannabis capaci di generare piante con alto contenuto di THC, invece, la situazione è diversa e, detto chiaramente, piuttosto complicata.

Da una parte, gli esemplari che possono germogliare a partire da queste semenze sono a tutti gli effetti considerati sostanze stupefacenti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 390/90, il Testo Unico Stupefacenti, per l’appunto.

Tuttavia, è anche vero che i semi non contengono alcuna traccia di THC. Di fatto, dunque, non dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione del sopracitato DPR, perlomeno non nell’eventualità in cui non vengano coltivati. E, infatti, è proprio questo il discrimine che permette di distinguere i casi di compravendita legale di semi di marijuana dai casi configurabili come reati.

Coltivazione di cannabis: quando l’acquisto dei semi è considerato un reato

La differenza la fa la germinazione, o meno, dei semi di cannabis: se vengono venduti per essere coltivati si configura un reato. In caso contrario, se la compravendita avviene a scopi didattici oppure collezionistici (una destinazione d’uso piuttosto frequente), allora l’acquisto è lecito.

Ma come distinguere precisamente tra queste due casistiche?

Di fatto, non esiste un modo sicuro al 100%, a meno che non venga rilevato che al momento dell’acquisto il venditore o il compratore abbiano esplicitamente dichiarato lo scopo illecito della compravendita. Per questo motivo, di norma ogni caso viene considerato a sé e giudicato in base all’eventuale presenza di elementi che potrebbero ragionevolmente essere ricondotti alla volontà di commettere un illecito.

Quali possono essere questi elementi?

Sostanzialmente, sono la vendita concomitante di articoli chiaramente destinati a istruire il compratore sulla coltivazione dei semi di cannabis, ad esempio manuali appositi, oppure anche semplici depliant recanti le istruzioni per la loro germinazione. In questo caso la ragione porta a pensare che il loro acquisto sia destinato proprio alla produzione di sostanze stupefacenti.

In assenza di questi elementi, invece, la compravendita andrebbe in linea teorica considerata lecita.

Coltivazione di marijuana a uso personale: l’apertura della Corte di Cassazione

C’è da dedicare qualche riga alla coltivazione dei semi di marijuana in ambito domestico e per uso personale.

Si tratta di un tema piuttosto spinoso che la giustizia italiana ha trattato in modi diversi, di fatto creando in materia ancora più confusione di quella già causata dalla legislazione dedicata.

Da un lato, fino a qualche anno fa i massimi organi di giustizia sembravano non avere dubbi nel considerare anche questa pratica come illecita in qualsiasi caso. Lo affermò con chiarezza la stessa Consulta che dichiarò come, indipendentemente dalla quantità di principio attivo presente nelle piante, la coltivazione di cannabis costituisse sempre un reato in quanto, pur di fronte a elementi riconducibili al consumo personale, il semplice fatto di aver prodotto delle sostanze stupefacenti era sufficiente per generare opportunità di spaccio.

Tuttavia, di recente (per la precisione nel 2019), di fronte al caso di un cittadino accusato di aver commesso un reato per essersi dedicato alla coltivazione di marijuana ad uso personale, la Corte di Cassazione ha preso una decisione che ribalta la linea di condotta precedente. In particolare, l’organo di giustizia ha concluso che “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica. Attività di coltivazione che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

Insomma, qualche spiraglio in direzione di un proibizionismo meno acceso si è aperto. Che questa linea diventi la norma, però, è tutto da vedere in un ambito delicato e legislativamente incompleto come questo.